Sono
quasi in sogno a Luino
lungo il muro dei morti.
Qua i nostri volti ardevano nell’ombra
nella luce rosa che sulle nove di sera
piovevano gli alberi a giugno?
Certo chi muore… ma questi che vivono
invece: giocano in notturna, sei
contro sei, quelli di Porto
e delle Verbanesi nuova gioventù.
Io da loro distolto
sento l’animazione delle foglie
e in questa farsi strada la bufera.
Scagliano polvere e fronde scagliano ira
quelli di là dal muro –
e tra essi il più caro.
«Papà – faccio per difendermi
puerilmente – papà…».
Non c’è molto da opporgli, il tuffo
di carità il soprassalto in me quando leggo
di fioriture in pieno inverno sulle alture
che lo cerchiano là nel suo gelo al fondo,
se gli porto notizie delle sue cose
se le sento tarlarsi (la duplice
la subdola fedeltà delle cose:
capaci di resistere oltre una vita d’uomo
e poi si sfaldano trasognandoci anni o momenti dopo)
su qualche mensola
in via Scarlatti 27 a Milano.
Dice che è carità pelosa, di presagio
del mio prossimo ghiaccio, me lo dice come in gloria
rasserenandosi rasserenandomi
mentre riapro gli occhi e lui si ritira ridendo
- e ancora folleggiano quei ragazzi animosi contro bufera e notte –
lo dice con polvere e foglie da tutto il muro
che una sera d’estate è una sera d’estate
e adesso avrà più senso
il canto degli ubriachi dalla parte di Creva.
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