PAPA FRANCESCO: «PREGATE PERCHÉ IO PRENDA ESEMPIO
DA DON MILANI»
Nelle parole del Papa
l'abbraccio della Chiesa che don Lorenzo Milani ha desiderato fino alla morte,
il riconoscimento del suo essere sacerdote, non solo maestro non solo
pacifista. Un fatto storico, ecco perché
20/06/2017
di Elisa Chiari
«Pregate per
me perché anche io sappia prendere esempio da questo bravo prete». Quel bravo
prete è don Lorenzo Milani e più chiaro e diretto di così Papa Francesco
non avrebbe potuto essere. Non c'era questa frase nel
discorso preparato, non c'era la frase finale rivolta ai sacerdoti:
"Prendete la fiaccola e portatela avanti». Le ha aggiunte a braccio.
Don Milani aveva ragione, quando nel suo tono
sempre un po' provocatorio diceva: «Mi capiranno tra 50 anni». Forse faceva un
numero, per dirla con parole sue, «per dar forza al discorso». Ma la
contingenza della storia ha voluto che fosse una cifra esatta, che servissero
davvero 50 anni - don Milani è morto il 26 giugno del 1967 - perché un papa
venisse quassù, a Barbiana - una Barbiana restaurata con la vasca azzurra come
allora non era-, al margine del margine del mondo, nella parrocchia che doveva
chiudere e che fu tenuta aperta per isolare un sacerdote che allora si diceva
"scomodo" e che oggi papa Francesco dice «ha lasciato una traccia
luminosa».
Per molto tempo, don Lorenzo Milani è stato
raccontato come l'educatore, il maestro, l'obiettore di coscienza - non senza distorsioni e strumentalizzazioni
da parti assortite -: quasi che fosse marginale nella sua presenza storica il
suo essere prete. Lo si è
raccontato lasciando nell'ombra il lato che a don Milani premeva di più, perché
fondava il senso della sua esistenza cristiana: il riconoscimento del suo
sacerdozio da parte della Chiesa.
Cinquant'anni dopo Papa Francesco sana,
dichiarandolo esplicitamente, questa mancanza. Mette il punto più importante alla fine,
Papa Francesco, quasi per lasciarne il significato scolpito - come a segnare un
passaggio che chi studierà il rapporto tra don Lorenzo Milani e la Chiesa di
qui in poi non potrà ignorare -: «Non posso
tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella
richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo Vescovo, e cioè che fosse
riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della
sua azione pastorale. In una lettera al Vescovo scrisse:
"Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio
apostolato apparirà come un fatto privato...". Dal Cardinale Silvano
Piovanelli, di cara memoria, in poi gli Arcivescovi di Firenze hanno in diverse
occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non
cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani –
non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne
circostanze e umanità in gioco –, ma dice che
la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i
poveri e la Chiesa stessa. Con la mia presenza a Barbiana,
con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a
quanto auspicava sua madre: "Mi preme soprattutto che si conosca il prete,
che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che
lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui... quella Chiesa che
lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di
quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio... Se non si comprenderà realmente il sacerdote
che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il
resto"».
Non per caso nelle parole del Papa emerge più
di tutto il don Milani sacerdote: le definizioni che dà di don Milani lungo
tutto lo snodo del discorso non sono scelte a caso. «Sono venuto a Barbiana»
esordisce papa Francesco «per rendere omaggio alla memoria di un sacerdote che ha
testimoniato come nel dono di sé a Cristo si incontrano i fratelli nelle loro
necessità e li si serve». Agli allievi dice: «Voi siete i testimoni di come un prete abbia vissuto la sua
missione, nei luoghi in cui la Chiesa lo ha chiamato, con piena
fedeltà al Vangelo e proprio per questo con piena fedeltà a ciascuno di voi,
che il Signore gli aveva affidato». E ancora: «La scuola, per don Lorenzo, non era una cosa diversa rispetto alla
sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere
quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al
cielo. Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’ è dignità e
quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola
che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il
lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole».
Papa Francesco sottolinea l'attualità di don
Milani: «Questo vale a suo modo anche per i nostri tempi, in cui solo possedere
la parola può permettere di discernere tra i tanti e spesso confusi messaggi
che ci piovono addosso». Il papa parla esplicitamente di
"umanizzazione", facendo riferimento a un concetto milaniano: la
parola ai poveri non per farli diventare più ricchi, ma per farli diventare più
uomini. Non per caso c'è più di Esperienze
pastorali sotteso al discorso di don Milani a Barbiana di
quanto non ci sia di Lettera a
una professoressa. La cita, certo, quando parla agli
educatori: ma al centro c'è il sacerdote non il maestro. «La vostra è una
missione piena di ostacoli ma anche di gioie. Ma soprattutto è una missione.
(…) Questo è un appello alla responsabilità. Un appello che riguarda voi, cari
giovani, ma prima di tutto noi, adulti, chiamati a vivere la libertà di
coscienza in modo autentico, come ricerca del vero, del bello e del bene, pronti
a pagare il prezzo che ciò comporta. E questo senza compromessi».
Ai sacerdoti papa Francesco ricorda che «la dimensione sacerdotale di don Lorenzo
Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui.
Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più
profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa
un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la
forma piena e compiuta per il giovane convertito. Sono note le parole della sua
guida spirituale, don Raffaele Bensi, al quale hanno attinto in quegli anni le
figure più alte del cattolicesimo fiorentino, così vivo attorno alla metà del
secolo scorso, sotto il paterno ministero del venerabile Cardinale Elia Dalla
Costa. Così ha detto don Bensi: "Per salvare l’ anima venne da me. Da quel
giorno d’ agosto fino all’ autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di
Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’ assoluto, senza vie di mezzo. Voleva
salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva
subito ferirsi e ferire". Essere prete come il modo in cui vivere l’
Assoluto. Diceva sua madre Alice: "Mio figlio era in cerca dell’ Assoluto.
Lo ha trovato nella religione e nella vocazione sacerdotale". Senza questa sete di Assoluto si può essere
dei buoni funzionari del sacro, ma non si può essere preti, preti veri, capaci
di diventare servitori di Cristo nei fratelli". Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene
alla Chiesa, come le volle bene lui, con la schiettezza e la
verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture, abbandoni».
E ancora: «La Chiesa che don Milani ha
mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti
la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona
in tutta la sua dignità».
Quelle ultime parole: «prendete e portate la
fiaccola» sono l'abbraccio che don Lorenzo Milani ha desiderato una vita. Chi
stava ascoltando sulle seggiole bianche di Barbiana lo sapeva, per aver vissuto
con lui il dolore dell'incomprensione, e non per caso ha applaudito proprio i
passaggi in cui ha sentito il riconoscimento atteso dal Priore per mezzo
secolo.
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