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sabato 14 marzo 2020

Mario Luzi. Poesia. Ménage

La rivedo ora non più sola, diversa,
nella stanza più interna della casa,
nella luce unita, senza colore né tempo,
filtrata dalle tende,
con le gambe tirate sul divano, accoccolata
accanto al giradischi tenuto basso.
“Non in questa vita, in un’altra”
folgora il suo sguardo gioioso
eppure più evasivo e come offeso
dalla presenza dell’uomo che
la limita e la schiaccia.
“Non in questa vita, in un’altra”
le leggo bene in fondo alle pupille.
È donna non solo da pensarlo,
da esserne fieramente certa.
E non è questa l’ultima sua grazia.
in un tempo come il nostro che pure
non le è estraneo né avverso.
“Conosci mio marito, mi sembra” e
lui sciorina un sorriso importunato,
pronto quanto fuggevole, quasi voglia
scrollarsela di dosso e ricacciarla indietro,
di là da una parete di nebbia e d’anni;
e mentre mi s’accosta ha l’aria di chi viene
da solo a solo, tra uomini, al dunque.
“C’è qualcosa da cavare dai sogni?”
mi chiede fissando su di me i suoi occhi vuoti
e bianchi, non so se di seviziatore,
in qualche “villa triste”, o di guru.
“Qualcosa di che genere?” e guardo lei
che raggia tenerezza verso di me
dal biondo del suo sguardo fluido e arguto
e un poco mi compiange, credo,
d’essere sotto quelle grinfie.
“I sogni di un’anima matura
ad accogliere il divino
sono sogni che fanno luce;
ma a un livello più basso
sono indegni, espressione dell’animale
e basta” aggiunge e punta i suoi occhi
impenetrabili che non so se guardano e dove.
Ancora non intendo se m’interroga
o continua per conto suo un discorso
senza origine né fine
e neppure se parla con orgoglio
o qualcosa buio e inconsolabile gli piange dentro.
“Ma perché parlare di sogni” penso
e cerco per la mia mente un nido
in lei che è qui, presente in questo attimo del mondo.
“E lei non sta facendo un sogno?”
riprende mentre sale dalla strada
un grido di bambini, vitreo, che agghiaccia il sangue.
“Forse, il confine tra il reale e il sogno…” mormoro.

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