C' È UN ANTENATO DI MARGUERITE YOURCENAR - tra tutti quelli declinati nell' autobiografia Archivi del Nord - che ha un nome profetico, Adriansen, «figlio di Adriano». Marguerite evoca anche un altro ascendente illustre, Rubens - parente acquisito: quando dipingeva, si faceva leggere ad alta voce Tacito e Seneca. Tacito e Seneca sono le letture ininterrotte dell' imperatore Adriano. La Yourcenar, anche per raccontarsi, amava consegnare il proprio enigma al tempo più lontano; alla storia, o, semplicemente, al ripensamento. Teorizzava «l' allontanamento», che rende più chiare e auguste le cose; e citava Racine: a mille anni o mille leghe, «major e longinquo reverentia». Inversamente, per animare il «freddo liquore della memoria», poteva essere necessario un brusco riavvicinamento. All' epoca in cui studiava il volto di Antinoo, per scavare nei suoi tratti le motivazioni del «colpo di sole dell' amore» che, ben tardi, appare nella vita dell' imperatore, la Yourcenar stava confrontando alcune effigi del giovinetto con una archeologa, conservatrice all' epoca del museo di Ostia, Raissa Calza. Raissa era stata la prima moglie di de Chirico, e aveva visto i Balletti Russi; guardando uno dei ritratti di Antinoo, esclamò: «Nijinskij». Il leggendario ballerino «era la migliore formula possibile», riconobbe poi, nel ricordo, la Yourcenar: era la persona che di colpo viene a incarnare le aspirazioni di un grande regista - come Diaghilev per i Balletti russi: «e in un certo senso l' Imperatore era un grande regista». Lo dicono anche le Memorie di Adriano; l' imperatore varius, multiplex, multiformis sente crescere in sé un nuovo personaggio, «un direttore di compagnia. Conoscevo i nomi dei miei attori, regolavo le loro entrate e le loro uscite. La versatilità mi era necessaria. Ero multiforme per calcolo; camminavo sul filo come un acrobata»; quelle rappresentazioni pian piano lo formano. Scommettendo sulla natura teatrale della recitazione del potere, Maurizio Scaparro ideò nel 1989 il mitico spettacolo a Villa Adriana delle Memorie, nell' adattamento di Jean Launay, interpretato da quasi vent' anni, in giro per il mondo, da Giorgio Albertazzi (e che ora è un libro e un DVD da Minimum Fax firmato dall' attore, Memorie di Adriano, La voce dell' Imperatore, pagg. 80, euro 25). Il dettato del romanzo, inciso nel marmo di uno smagliante, meticoloso e diffidente classicismo, Albertazzi lo lascia cadere con una specie di spoglia e grave trascuratezza, perché non la retorica ma le parole sbalzino il ritratto - che intanto sempre più si distanzia dal suo proprio distacco dalla contemporaneità. A vent' anni dalla morte, la più augusta scrittrice francese del Novecento vede sfumare una peculiarità delle sue opere, denunciata al loro apparire: l' inattualità. Nel dopoguerra dell' impegno e degli sperimentalismi, la sua misura atemporale l' aveva resa una Sibilla che enunciava «forme immortali» chiuse nel loro «sogno» marmoreo (Album italiano). Nei saggi la Yourcenar denunciava bensì i cataclismi dell' epoca - i genocidi, la tragedia ecologica, l' incultura - e li maneggiava con furore («i fanatismi più o meno mascherati, più o meno larvati aspettano solo il momento di riapparire armati»; «la corruzione è quasi un sine qua non della politica»). In letteratura e in poesia, invece, i materiali più incandescenti dovevano conoscere la sutura del tempo e dello stile; ma solo per diventare più forti. Oggi è impossibile credere che la Yourcenar trasformi la terra in falde geologiche. Vediamo quanto disagio della guerra mondiale nutrisse il disegno della Pax romana di Adriano - ma «la pace è uno scopo, non un idolo». Nel Cinquecento alchemico dell' Opera in nero è consegnata la preoccupazione per la proliferazione delle sette e la crescente repressione omosessuale nel mondo. Con gli anni, Adriano si accosta alle nostre inquietudini; imperatore del disincanto, ma rispettoso delle istituzioni, curioso delle religioni e dei miti orientali, vede stendersi un mondo unico, ma non crede nelle annessioni violente. Ci tocca anche il metodo della Yourcenar, «l' attenzione» indù: fissava il pensiero sul nulla, per prepararsi alla scrittura, e anche alla comprensione di mondi lontani: dalla storia, dopo lo studio più scrupoloso, bisogna lasciarsi attraversare, imponendo il silenzio a quello che crediamo di sapere. «È stata una bambina solitaria?» le avevano chiesto una volta. «L' abitudine precoce alla solitudine è un bene infinito, si impara a fare a meno degli altri», aveva risposto Marguerite, che aveva perso la madre alla nascita; nessuno le parlava mai di lei, e la sua prima fotografia le era stata mostrata a 35 anni; «del resto, c' è un fondo di indifferenza nei bambini», notava. Nei racconti contemporanei e nelle poesie della Yourcenar, come nelle ultime pagine (Cosa? L' eternità) del Labirinto, l' autobiografia in tre volumi, appare ormai bruciante la presenza di un trio (una donna, un uomo che ama gli uomini, un amante, non esclusivo, tra i due) che sembra riprodurre una specie di sua scena originaria - la presenza nella sua fanciullezza di Jeanne, l' amica della madre, di suo marito Egon, e di Michel de Crayencour, il padre di Marguerite. Sono queste cicatrici, espresse, nel frastuono moderno, con la sua consueta impassibile compassione - Don Miguel l' incestuoso «si strofinava sempre le mani, come per cancellarne qualcosa» - il luogo più arroventato da cui ci parla oggi la Yourcenar.
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