Quella mattina si
alzò di buona ora. I primi tepori primaverili lo mettevano di buon umore e lo
caricavano di un’insolita energia che ritrovava ogni anno con lo spuntare della
stagione che preferiva. Lorenzo Moroni, trentaquattro anni, architetto, viveva
in quel bilocale di periferia da cinque anni. Lo aveva arredato secondo il suo
stile, sobrio e funzionale; personalizzato e reso accogliente dall’uso attento
e discreto del legno, il materiale che preferiva. Lorenzo era quello che si
poteva definire un bell’uomo; alto, longilineo, simpatico, estroverso. Amava
molto il suo lavoro e nel tempo che dedicava a sé stesso frequentava un gruppo
di amici, quasi tutti professionisti, con i quali divideva le sue passioni: i
viaggi e la fotografia. Da quando Laura, il suo grande amore, lo aveva lasciato
dopo tre anni vissuti insieme senza un motivo convincente; per Lorenzo erano
seguite solo storie dissoltesi nella mediocre quotidianità fatta di piccoli e
scontati copioni che quando non sono generati dall’amore spengono lentamente
ogni interesse l’uno per l’altra. Ma la condizione di single non dispiaceva a
Lorenzo; anzi in quegli ultimi anni l’organizzazione della sua vita sembrava
perfezionarsi ogni giorno di più. Per i lavori domestici aveva assunto una
signora sui cinquant’anni che lo accudiva con molto affetto e discrezione. Pur
incontrandosi raramente, visto che lei entrava in casa quando lui era al
lavoro, al suo rientro Lorenzo non poteva non notare il proprio abbigliamento
riposto con cura nei cassetti ed i fiori sempre freschi sul tavolo della
cucina. Quella mattina di primavera Lorenzo scese prima del solito, aveva
lasciato l’auto in officina e doveva raggiungere il suo studio in metrò. Come
tutti i giorni fece colazione al bar sotto casa e dopo aver acquistato il
solito quotidiano si avviò verso la stazione assaporando con gusto i primi
raggi del sole ed osservando con ritrovata curiosità i dettagli di un percorso
che non faceva da tempo. Scendendo le scale del metrò notò con piacere che la
stazione non era affollata. Fece appena in tempo a leggere i titoli di prima
pagina che sentì arrivare il treno. Ripiegò il quotidiano, percorse qualche
passo e salì sulla carrozza le cui porte si aprirono proprio davanti a lui.
Anche il treno era semivuoto. Diede una rapida occhiata al percorso del metrò
disegnato sul cartello accanto alla porta ed entrò nello scompartimento. Si
sedette con le spalle rivolte al finestrino ed iniziò a leggere il giornale.
Nel voltare le pagine del quotidiano alzò lo sguardo e fu attratto da una
ragazza che era seduta di fronte a lui e che discuteva confidenzialmente con
una vicina che lui pensò fosse un’amica. In particolare lo colpirono gli occhi:
grandi, neri, dolci. Gli sguardi per un attimo si incrociarono e Lorenzo
avvertì un’improvvisa ed inaspettata ventata calda circondargli la testa. Era
arrossito. Non gli capitava spesso di arrossire, riusciva a mascherare bene le
proprie emozioni; era sorpreso per quello che gli era capitato. Voltò
distrattamente qualche pagina del giornale e non poteva vedere che la ragazza
seduta di fronte lo guardava sorridendo. Quando Lorenzo alzò nuovamente lo
sguardo osservò con maggiore attenzione i lineamenti del volto, lungo e
squadrato. I capelli neri a caschetto le davano una freschezza che Lorenzo
subito pensò di fotografare con uno sfondo di onde che si infrangono sugli
scogli. Sorrise pensando all’immagine stereotipata della foto, quando
riguardandola negli occhi incrociò il suo sorriso. Abbassò lo sguardo
lentamente e con discrezione ammirò i seni turgidi e sodi sotto il maglione
rosso attillato. La gonna nera tubolare metteva in risalto le gambe lunghe e
proporzionate. Quando contemporaneamente al fischio del treno Lorenzo alzò lo
sguardo vide la ragazza che insieme all’amica si avviava all’uscita. Alta,
slanciata, un corpo da modella, un portamento carico di femminilità. Non fece
in tempo a pensare ad altro che le porte si richiusero dietro di lei. Si girò
verso il finestrino, appoggiò la mano destra sul vetro, voleva dire qualcosa,
ma gli uscì solo un sorriso smorzato ed un cenno con la mano che sembrava un
saluto. Mentre il treno cominciava a muoversi lentamente la sconosciuta si
voltò e gli sorrise nuovamente. Lorenzo ripiegò il giornale, il rumore sordo
del treno e lo stridio dei freni gli sembravano lontani. Si accorse appena in
tempo che era arrivato. Scese di corsa e si avviò verso l’uscita, ma non
riusciva a distogliere il suo pensiero dal viso di quella donna. Per un momento
nel metrò aveva vissuto un’emozione forte e indescrivibile. Non immaginava che
alla sua età uno sguardo di una donna potesse procurargli una sensazione così
forte e tenera nello stesso tempo. Lorenzo aveva uno studio ben avviato. I
successi professionali erano proporzionati all’amore che nutriva per la sua
professione. In quel periodo stava lavorando ad un progetto per la
ristrutturazione di un rustico ed alla costruzione di un villino per Alba
Ferretti, una psicologa, sua amica di vecchia data. Quella giornata per Lorenzo
trascorse molto lentamente; anche il lavoro sembrava più difficile del solito e
stranamente noioso. Ogni momento era buono per distrarsi, fissare il vuoto e
cercare di individuare le sfumature dello sguardo di quella ragazza. Aveva
perfino cercato di disegnare il suo volto, ma pur essendo bravo non riusciva a
delineare i tratti del viso che ora gli sembravano ancora più belli. Dopo la
pausa per il pranzo Lorenzo non rientrò in ufficio. Decise di prendere il metrò
per andare a ritirare l’auto in officina. Arrivato alla stazione di Via XX
settembre si guardò intorno più volte e quando il treno stava per ripartire
istintivamente con un piccolo salto scese. Si sedette sulla panchina di fronte
all’uscita dove aveva visto per l’ultima volta la ragazza scomparire nel vuoto.
Continuava a fissare le scale noncurante dei treni che passavano. Guardò
l’orologio, si rese conto di aver aspettato inutilmente e quando il treno sul
quale salì imboccò la galleria si scoprì con lo sguardo fisso l’uscita. Ritirò
l’automobile, ed essendo ancora presto per la cena, girò per la città. I colori
del tramonto si confondevano con le prime luci che si accendevano; il movimento
nelle strade attirò l’attenzione di Lorenzo: gente apparentemente indaffarata
incrociava chi con tranquillità passeggiava nelle vie del centro con gli
sguardi alle vetrine che ormai brillavano di colori. Quando si accorse che era
fermo ad un semaforo rosso in via XX settembre, mugugnò tra sè, capiva che
voleva cercare quella ragazza a tutti i costi. Parcheggiò l’auto e si fermò al
bar di fronte alla stazione e sorseggiò un aperitivo. Quando il sole era ormai
tramontato si avviò verso casa; si fermò alla rosticceria due isolati prima
della sua abitazione, acquistò un pollo allo spiedo, una busta di patatine, due
birre e rientrò. Subito dopo cena si distese sul letto, accese il registratore
e sulle note di “yesterday” chiuse gli occhi. L’immagine della ragazza pian
piano prendeva corpo, si animava, sorrideva, correva felice verso di lui. Si
addormentò sognandola distesa accanto a lui. L’odore della sua pelle gli saliva
al cervello, le sue mani l’accarezzavano dappertutto, le labbra baciavano ogni
angolo del suo corpo. La mattina successiva pur avendo l’auto sotto casa
Lorenzo decise di andare in ufficio in metrò. Cercò di rispettare tutti gli
orari del giorno precedente. Quando salì sul treno girò invano per tutte le
carrozze. Della sconosciuta nessuna traccia. Riprovò ancora per altri giorni,
molti pomeriggi successivi si fermò al bar della stazione di via XX settembre;
ma di lei non gli restava che il ricordo. Molto spesso in quei giorni si
rammaricò con sé stesso per non averle detto nulla; l’aveva avuta di fronte, a
pochi metri e non fu capace di dirle nulla. Quel lunedì per Lorenzo iniziava
una settimana intensa. Oltre a dover terminare il progetto per la sua amica ed
effettuare un sopralluogo in campagna per la ristrutturazione del rustico,
doveva assumere un collaboratore che gli curasse i progetti più semplici e che
lo aiutasse nei disegni. L’inserzione era stata pubblicata il venerdì
precedente. Dalle nove iniziò a squillare il telefono, ininterrottamente fino
alle tredici. Più trascorreva il tempo, più Lorenzo diventava esigente nel
chiedere le referenze. Aveva già tutto il martedì impegnato quando decise di mettere fuori posto il telefono e di
continuare il suo lavoro. Il giorno successivo Lorenzo arrivò in ufficio un’ora
prima del solito. Approntò dei modelli per i colloqui che avrebbe avuto, li
fotocopiò e quindi scese al bar per un caffè. Quando risalì un giovanotto ben
vestito era sul pianerottolo che lo aspettava. Lo fece accomodare, gli formulò
qualche domanda tecnica, ascoltò il racconto delle sue esperienze, delle sue
ambizioni e quindi lo salutò con un convenevole “Le telefonerò nei prossimi
giorni”. Continuò così per tutta la mattinata. Una passerella di giovani, molti
dei quali si affacciavano per la prima volta verso il mondo del lavoro. Dopo il
pranzo fugace consumato al solito bar Lorenzo rientrò in ufficio; ebbe appena
il tempo di rinfrescarsi che udì lo squillo del campanello. Preparò il modello
e si avviò verso la porta. Quando l’aprì rimase impietrito. Davanti a sé la
bellezza folgorante della ragazza del metrò lo lasciò senza parole. Ancora più
bella di come l’avesse mai ricordata e sognata. – Buon giorno, mi chiamo Giulia
Bonetti e sono qui per l’inserzione…- – Prego entri… entri pure. – E con la
mano le indicò una delle poltroncine davanti alla scrivania. Giulia Bonetti
aveva ventisette anni, viveva in città in una casa che divideva con Greta;
entrambe iscritte ad architettura, si pagavano gli studi lavorando. Greta come
commessa in una boutique, Giulia fino alla settimana prima in uno studio
grafico. Si era licenziata perché il titolare le mostrava delle attenzioni
troppo particolari. Il suo abbigliamento metteva in risalto un corpo da
modella. Entrò nello studio di Lorenzo con disinvoltura e con altrettanta
sicurezza nel sedersi accavallò le gambe. Rispondeva alle domande di Lorenzo
con garbo, ma il suo viso lasciava trasparire la gioia di essere lì. Lorenzo lo
percepì, decise di non fare alcun riferimento al loro primo casuale incontro e
continuò a chiederle della sua vita, del suo passato, dei suoi sogni. Così
scoprì che in fondo Giulia era sola. Greta, gli amici d’università le riempivano
qualche serata, ma niente di più. Il suo sogno era di diventare arredatrice e
specializzarsi in complementi d’arredamento. L’amore l’aveva lasciato dietro le
spalle, al paese, quando scoprì che Luigi, il fidanzato, una volta accompagnata
a casa si precipitava tra le braccia di una signora, proprietaria di una
profumeria. Nonostante l’approccio con la città, con i suoi ritmi frenetici e
talvolta impetuosi, Giulia non aveva perso la fiducia negli altri. La dolcezza
traspariva in ogni espressione del volto, la femminilità in ogni movimento del
corpo. Il tempo passava, parlavano come due amici che si incontrano dopo anni
di lontananza. Il campanello squillò ancora tre volte; a tutti Lorenzo disse
scusandosi che la selezione era terminata. Quando ormai erano le sei del
pomeriggio Lorenzo invitò Giulia a prendere un caffè. Lei accettò volentieri.
Per attraversare la strada Lorenzo le tese la mano che Giulia strinse con
forza. Risalirono poco dopo in ufficio e continuarono a raccontarsi l’uno
dell’altra. Fu ancora una volta Lorenzo ad interrompere il dialogo. Guardò
fuori, poi guardando Giulia negli occhi, la invitò a cena. Raccontò che
conosceva una trattoria in collina dove si poteva cenare in tranquillità e
gustare un’ottima cucina casalinga. Si sorrisero e mano nella mano si
incamminarono verso l’auto. Percorsero circa venti chilometri e nel tragitto
Giulia osservando il panorama, accostò la sua mano su quella di Lorenzo, questi
la strinse per un attimo, poi spostò la sua mano sul ginocchio di Giulia e
cominciò ad accarezzarlo. Lei lo fissava negli occhi con un sorriso tenero e
malizioso. Cenarono guardandosi negli occhi, continuando a cercarsi con lo
sguardo e con le mani. Lorenzo accompagnò Giulia a casa quando ormai le
lancette dell’orologio avevano superato la mezzanotte. Accostò l’auto al
portone, si girò verso di lei, con le braccia l’attirò a sè e la baciò
teneramente. Lorenzo rientrò a casa felice. Neanche con Laura aveva provato
quelle emozioni, vissuto quei momenti così intensi, carichi di una misteriosa
magia. Non capiva se di Giulia l’attraeva di più l’evidente intelligenza, la
spiccata sensibilità o il corpo così carico di sensualità. Di sicuro sapeva che
voleva stare con lei ogni momento, dividerne i pensieri, i sogni, le emozioni.
Si incontrarono allo studio la mattina dopo, e ancora quella dopo, e si
lasciavano sempre a notte inoltrata. Quel venerdì Lorenzo doveva effettuare il
sopralluogo in campagna e Giulia andare all’università per richiede alcuni
documenti. Decisero di incontrarsi alle 7 di sera; in quel bar di via XX
settembre dove Giulio l’aveva aspettata invano per giorni. Si salutarono con un
lungo bacio. Per Lorenzo tutto procedeva come aveva programmato. Alle diciotto
era già di rientro. Poco meno di un’ora ed avrebbe riavuto Giulia tra le sue
braccia. Non ebbe il tempo di pensare ad altro che l’auto si fermò. Lorenzo
scese dalla vettura, aprì il cofano anteriore e fissò il motore. Non era un
buon meccanico, ma pensò che non doveva essere nulla di grave visto che l’auto
da poco era stata in officina per una revisione. Armeggiò tra i fili del motore
per un po’; quindi riprovò a metterla in moto, ma l’auto non si avviò. Lorenzo
guardò l’orologio. Pensò che un ritardo poteva essere perdonato con un fiore.
Scese nuovamente dall’auto e ormai con le mani unte d’olio ricominciò a toccare
tutti i fili. Ad un tratto si accorse che un cavetto era allentato, provò a
stringere il cavo. Risalì in auto con affanno, girò la chiave d’avviamento
guardano il cielo. L’auto ripartì. Percorse il viottolo di campagna sobbalzando
ad ogni fosso. Una volta raggiunta la strada provinciale accelerò al massimo.
Lorenzo era abile alla guida e per di più conosceva quella strada molto bene.
Ma quella sera qualcosa andò storto. In una curva per evitare un cane che
attraversava la strada perse il controllo dell’auto; non riusciva a tenerla in
carreggiata. Provò a sterzare, a frenare, ma senza che potesse far nulla
percepì che la macchina andava contro una barriera. Quando l’auto rotolò nella
scarpata Lorenzo era ancora cosciente. I soccorsi arrivarono presto; un
automobilista di passaggio aveva dato l’allarme tempestivamente. L’ambulanza
che lo portò in ospedale passò per via XX settembre alle venti e dieci. Lorenzo
ancora privo di sensi. Non sapeva che Giulia era ancora lì ad aspettarlo. Lei
guardò l’ambulanza sfrecciare davanti a sé, ma non poteva sapere che dentro
c’era Lorenzo. Fu ricoverato in prognosi riservata senza che avesse ripreso
conoscenza. I medici disperavano di salvarlo. Dovevano trascorrere 24 ore per
uscire fuori pericolo. Un trauma cranico aveva portato Lorenzo vicinissimo al
confine tra la vita e la morte. Lui lottava in solitudine contro il destino.
Giulia l’aveva cercato invano. Dopo aver trascorso tutta la notte insonne
sperando che Lorenzo la cercasse, si addormentò alle prime luci dell’alba con
il sapore amaro della delusione. Con il trascorrere delle ore le condizioni di
Lorenzo miglioravano. Al mattino, un mattino di primavera, Lorenzo sentì un
suono tormentargli il cervello. Si agitava nel letto. Il suono era sempre più
insistente. Si girò su sé stesso con cautela. Il suono era incessante… Lorenzo
aprì gli occhi. Si guardò intorno. Le pareti familiari della sua casa lo
tranquillizzarono, poi portandosi la mano alla testa si alzò di scatto. Il suo
pensiero corse a Giulia. In testa non aveva neanche una benda. L’appuntamento…
era tardi… ma la sveglia continuava a suonare. Con la mano sinistra disattivò
la sveglia; rimase seduto per qualche istante. Si rese conto di aver vissuto
solo un sogno. Mesto, cupo, si vestì lentamente. Fece colazione come tutti i
giorni al bar sotto casa ed andò in ufficio. Aveva l’auto parcheggiata qualche
metro più avanti, ma quella mattina preferì andare in metrò.
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