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mercoledì 3 giugno 2020

IL PALAZZO DI VETRO


Il saggio è chi ha memoria della propria storia.
Luigi Brambillaschi
IL PALAZZO DI VETRO

Ultimo giorno in questo bel palazzo di vetro. Ultimamente un po’ vecchio, risente dei suoi quarant’anni, malanni gravi non ne ha, solo acciacchi d’età che il medico, l’estetista, il fisioterapista sapranno sicuramente curare per renderlo brioso, luminoso ed elegante come un tempo.
Non nascondo la nostalgia che provo nello staccarmi da lui, poche parole con colleghi amici, la faccia sconsolata. Per ventinove anni ho abitato gran parte della giornata nel palazzo, ho vissuto i momenti dell’adolescenza, i primi amori segreti, quegli sguardi che s’incontravano e immediatamente si abbassavano, quei visi rossi pieni di timidezza e vergogna. Ho conosciuto il mondo degli adulti, chi ha spalancato le “finestre” alla vera vita, piangendo per la figlia ammalata, per i pochi soldi, per il poco vino, per l’affitto troppo caro, per la perdita di un amico del circolo. Chi invece chiudeva le persiane perché la (pura) vita non entrasse a scompigliare i suoi ritmi e i suoi riti. Ho conosciuto persone bugiarde, vigliacche, che ci tenevano in pugno con il ricatto del licenziamento dopo il termine del contratto semestrale. Quante storie, quanti visi, che emozioni.
La cartolina rosa presentata al mio superiore: “Diventerai uomo”, l’annuncio ai colleghi e agli amici: “Ti stanno rubando i vent’anni l’età più bella della vita”.
La corona di fiori della Direzione ai funerali di mio padre, i miei colleghi amici che piangevano con me.
Le bomboniere, il regalo di nozze, la canzone “Era una notte che pioveva e che tirava…” tutti a ridere, mi ci è voluto qualche minuto per capire. Ciucci, scarpine fatte con l’ago, giraffe da mordere, le domande: come si chiama? È grande? Quanto pesa? A chi assomiglia?
La casa comprata, le preoccupazioni: “Per fortuna è una ditta solida, non ti mancherà il lavoro, chissà quanti sacrifici, ci hai pensato bene? I calcoli sono giusti? Hai chiesto l’anticipo sulla liquidazione?
Un affollamento in portineria “E’ morto Claudio”. “Quando?” “Ieri, mentre tornava a casa a tarda sera dopo aver lavorato troppe ore allo stabilimento di Casale”. Il funerale, i nostri visi che guardavano le pozzanghere, non ci riusciva di alzare la testa.
Un urlo: “Hanno venduto l’azienda ai Francesi, no agli Inglesi, ma che ne sapete voi? Sono Italiani”. Chi preoccupato: non ci licenzieranno”, chi ottimista: “era ora di cambiare, non potevamo continuare con una società a conduzione famigliare”. “Ci vogliono le multinazionali”.
Sto male, sono depresso, il vino la soluzione, non sono in grado di reggermi sulle gambe. La disperazione di aver deluso me stesso, la ditta, i colleghi amici. Si ricomincia. (I colleghi) gli amici mi sono stati vicini, non mi hanno abbandonato, non li ho delusi.
La ditta, si.
Ed eccomi a girare per l’ultima volta nel palazzo, sono in “Sala Macchine” dove ho lavorato per parecchi anni. Sono entrato nell’ ufficio del capo del personale dove ho fatto il colloquio e sono stato assunto. Al me fiò al laura in Galbani…Mario, che fortuna”. Sono entrato nell’ufficio posta, non c’era Rino, non c’erano neanche gli scatoloni per mettere i suoi documenti da portare nella nuova Sede, mi si sono inumiditi gli occhi, non verrà con noi, è già da tempo che l’incidente se l’è portato via.
Torno nel mio ufficio, preparo la borsa, metto il pc portatile nella sua valigetta, tocco il telefono, la scrivania e la sedia, l’ultimo contatto. In portineria saluto le ragazze della reception ed esco. Ad un tratto mi volto, lo vedo ancora e improvvisamente mi ritrovo a pensare a una mia vecchia poesia: “Il saggio è chi ha memoria della propria storia”. È proprio così. Ciao, palazzo di vetro.

Dedico questo racconto a persone eccezionali che ho avuto il piacere di conoscere nel luogo di lavoro.
Grazie a Rino, Ezio e Vittorino, Agostino.


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