È una storia come tante!
Fatta di silenzi e di dolore. Fatta di sentimenti tristi e contrastanti. Fatta
di senso di abbandono e di impotenza. E’ la storia di un uomo come tanti, un
uomo speciale, buono, onesto e forte. Uno che non si fermava mai davanti a
niente e che era in grado di “spaccare” le montagne con la sola forza di volontà
e determinazione. E’ la sua storia, o meglio lo era. Perché un giorno una
terribile malattia ha deciso di trasformarlo in un essere fragile e delicato,
in una cornice il cui contenuto è stato completamente svuotato. Sto parlando
della demenza, di quel terribile mostro che ti condanna all’oblio, che ti fa
chiudere in un mondo che appartiene solo più a te e che lascia un vuoto totale
nelle persone che tanto amano l’uomo che era ma non lo trovano più. Sto
parlando di mio padre. Lo cerco nei suoi occhi color smeraldo, ricercando un
guizzo di vita che ancora gli appartenga. Ma sono spenti, vuoti, a volte quasi
disperati come a volermi comunicare che lui lo sa. Ho ancora il privilegio di
essere sempre riconosciuta da lui, l’unica di tutta la famiglia, quasi come se
il legame che ci ha sempre uniti non lo volesse lasciare andare via insieme a
tutti i ricordi. E’ dura accettare che i ruoli si siano invertiti, ora sono io
il suo “genitore”, sono io che mi prendo cura di lui e cerco di sollevarlo. Ma
a me manca lui, era lui che sollevava me, era lui che si accorgeva solo
guardandomi se qualcosa non andava, era lui che mi aiutava. Qualcuno mi ha
detto che anche questo fa parte del diventare adulti, è vero, però fa male ed è
innaturale. Tanti sentimenti e tante sensazioni affollano la mente; rabbia,
negazione, rifiuto assoluto e totale, senso di solitudine e a volte anche di
incomprensione, perché non è più in grado di articolare un discorso di senso
compiuto e tu non sai come rispondere. Si proprio così, malgrado io sia una di
quelle che chiamano “addetti ai lavori”, mi ritrovo nella condizione di non
sapere cosa fare e, cosa ancora peggiore, di non sapere razionalizzare. In
questi giorni stiamo vivendo l’esperienza di un ricovero ospedaliero in un
reparto specifico per la cura delle demenze e, guardandomi intorno tutti i
giorni, mi accorgo di leggere, nei volti dei vari altri parenti, gli stessi
sentimenti che provo io. Ecco che allora il mio sfogo, il mio libero pensiero,
vorrebbe diventare un’occasione di confronto tra chi, come me, sta vivendo una
simile esperienza. Un modo per uscire dalla solitudine e dall’abbandono, un
posto (il sito) dove poterci scambiare emozioni e vissuti o dove semplicemente
riversare il dolore che opprime la mente e il cuore. Una sorta di gruppo di
auto mutuo aiuto, uno spazio dove poter gridare la propria rabbia oppure
ricercare risposte pratiche su come affrontare problemi che sono poi comuni a
tutti. Diamo spazio alle nostre emozioni. C’è un libro che vi consiglio che ben
rappresenta tutto questo ed è “La mente rubata” di Vaccaro de edito da Franco Angeli: Il quadro
emerso dall’indagine conferma in primo luogo il carattere “familiare” della
malattia di Alzheimer, e ciò in un duplice senso: · intanto perché totale
è risultato il coinvolgimento (e la scelta di tale coinvolgimento) della
famiglia nella cura, nell’assistenza, nel sostegno psicologico e nella tutela
del proprio congiunto, che la progressione della malattia rende non solo
sempre più dipendente ma anche sempre più debole ed indifeso nei confronti di
un mondo esterno che ignora o stenta a comprendere o teme gli effetti
devastanti della malattia; · a ciò si aggiunga l’estrema carenza dei
servizi sanitari e socio-assistenziali di supporto ai sempre più pressanti
bisogni di assistenza, che configurano i tratti di una delega praticamente
totale alla famiglia nel trattamento di tali malati. L’insufficienza delle
risposte istituzionali accentua il peso e le richiese esercitate dalla malattia
sulla famiglia e acuisce il processo di isolamento di una famiglia abbandonata
a sé stessa e, in qualche caso, ne determina un destino complessivo di
impoverimento e marginalizzazione. (Cit.) Perché vi ho raccontato la mia storia? Perché mi
piacerebbe poter creare uno spazio in
cui anche voi possiate raccontare la vostra. Vorrei far sentire la vostra
voce attraverso una sezione
dedicata dove poter far emergere le vostre emozioni i vostri sentimenti.
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