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giovedì 4 giugno 2020

Racconto. Lacrima.


Ci sono proprio tutti, tutti quelli che posso dire illusoriamente di conoscere e quelli di cui non posso dire nemmeno questo. Alcuni hanno fatto parte della quotidianità della mia vita, diventando col tempo una di quelle cose che si danno per scontate, come il caffè del mattino, il sole che fa capolino dopo la pioggia. Altri si sono limitati a fugaci apparizioni; si sono affacciati ogni tanto per brevi attimi nella mia esistenza ritraendosi subito dopo, come io ho fatto con le loro, lasciando tracce più o meno evanescenti. Persone che ho frequentato per lavoro, perché il destino ha previsto che fossimo parenti o perché ha semplicemente voluto che le nostre vite si incrociassero per un attimo, e che quell'attimo divenisse, in un certo qual modo, eterno.
Ci sono proprio tutti, anche persone che non avrei mai creduto di vedere oggi. Hanno tutti la stessa faccia, anche se ora, dopo quello che mi è successo, sono in grado di riconoscere sentimenti diversi dietro le espressioni tutte uguali. Vedo chiaramente il dolore, la sofferenza, ma anche la noia, la semplice volontà di non essere qui, perfino la gioia e la soddisfazione dietro alcuni musi lunghi, gli occhi arrossati dalle lacrime, i nasi gocciolanti per il pianto. Li ho tutti intorno e guardano me, come se fossi l'attrazione del momento. E dopo tutto è proprio così.
Mi muovo, anche se nella mia condizione solo pensare al concetto stesso di movimento appare una contraddizione, come un bugiardo patologico che giura di mentire, o una forza irresistibile scagliata contro un oggetto inamovibile. Eppure mi muovo, ma in un modo del tutto diverso dalla comune accezione della parola. Il mio corpo sembra rispondere alle sollecitazioni del mio cervello, e la realtà che mi circonda mi si presenta nella prospettiva che avrebbe se mi fossi mosso, ma so che la verità è un'altra. Il mio spirito, la mia essenza, tutto quello che ora sono avverte la mia reale immobilità. La mia testa si gira, i miei occhi vagano da un volto all'altro, ma questo avviene in un altro quando, in un altro dove, anzi, in un mondo in cui il "quando" è senza tempo ed il "dove" è senza luogo. E vedo lei. È bellissima, proprio come me la ricordavo. Fedele a sé stessa si trova un po' in disparte, come se volesse fuggire ai finti dolori, alle espressioni di circostanza. Alla sofferenza da catena di montaggio.
Ad un tratto non sono più qui, per quanto possa ancora significare per me questa espressione. In un istante ho perso completamente contatto con quella che è la mia realtà. Le immagini mi si proiettano nella mente, come se qualcuno me le avesse inviate direttamente nella corteccia celebrale, senza bisogno di passare attraverso gli occhi. Ed allora mi giungono immagini di laghi diventati deserti, di montagne diventate pianure, di enormi vastità di ghiaccio che si estendono da un lato all'altro dell'orizzonte. Immagini di strane creature che con molta immaginazione possono riconoscersi come umane, che popolano un mondo che ha ripudiato sé stesso fino al punto di implodere, che solo attraverso la sua autodistruzione ha rinnegato la sua natura corrotta ed ipocrita e ritrovato la sua indole selvaggia e sincera.
Poi di nuovo non sono più lì, ancora una volta succede tutto in un attimo, anche se potrebbe trattarsi di un attimo che dura mille anni; quelle immagini di un mondo che fu, che sarà o che potrebbe essere spariscono dalla mia mente, ed io mi ritrovo ad osservare quello che sono ora. Sento qualcuno che parla di qualcosa in cui non ho mai creduto, di qualcosa che nessuno può dire di aver mai visto ma nella quale in molti credono. Mai come in questo momento vorrei credervi anch'io.
Ma i miei occhi non sono che per lei. La vedo, mi sembra di poterla toccare, vorrei parlarle, dirle le troppe cose che non le ho detto mai, per pigrizia, per paura, o perché il tempo che abbiamo ci sembra infinito fino ad un attimo prima che finisca, ed alla fine ti rendi conto che è inutile preoccuparsi del futuro: ci arriva addosso quando è diventato già passato, e del presente non ci rimane che una fugace apparizione. Lo ripeto: ora vedo chiaramente in molte cose.
Vorrei parlarle ma non ci riesco, per quanto ci provi con tutte le mie forze. Mi accorgo che una lacrima, una sola lacrima, spunta da uno dei suoi stupendi occhi. Una sola lacrima, come se tutto il dolore che lei sta provando avesse trovato solo quella piccola valvola di sfogo, solo quel piccolo modo di manifestarsi. Ma io so che quella lacrima, quella lacrima solitaria, vale molto di più delle decine di altre versate dagli altri. La osservo sorgere dal suo occhio e scendere lungo la guancia. Proprio in quel momento un raggio di sole si fa largo tra le nubi nere che fino ad allora hanno dominato il cielo, e la lacrima brilla come un rubino mentre arriva quasi alle sue labbra. Qualcuno dice qualcosa che non riesco a capire e subito due uomini, che fino ad allora si erano tenuti in disparte, svolgono il loro compito con fredda e distante professionalità, come se quello che stessero facendo fosse per loro solo ordinaria amministrazione, come timbrare un cartellino, aggiustare un impianto che non funziona, sostituire una ruota a terra. E non stessero inchiodando il coperchio di una bara su un uomo morto. Prima che tutto diventi buio e di sentire i colpi del martello che blocca l'oscurità su di me, ho il tempo di vedere che quel raggio di sole ha asciugato la lacrima sul volto di quella donna. Credo proprio che mi mancheranno nel posto dove sto andando, qualunque esso sia.
Credo proprio che mi mancheranno, quella donna e quel raggio di sole.

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