Erano passate
diverse ore dall’alba, eppure la spiaggia era completamente vuota. Si trovava
nella punta più a ovest della costa, a qualche chilometro di distanza dal
resort turistico a cinque stelle “La Torre”, meta turistica ambita da facoltosi
stranieri e da nababbi nazionali.
Aveva tutto quello che si poteva chiedere: piscina; sauna; mini golf; campo da tennis; appartamenti sul mare. Infatti dopo pochi giorni la maggior parte degli ospiti se ne andava in città, ormai annoiata da tutte queste attività disponibili.
Alcuni, intelligentemente, prendevano la strada opposta, e si dirigevano in questa spiaggia.
Il motivo era nel nome del resort, poiché nelle vicinanze, a pochi metri dal bagnasciuga, c’era una piccola torretta, a cui è stato dedicato il nome del resort.
Qualche decennio prima era un faro per le piccole navi commerciali e per le barchette dei pescatori abitanti, ma a causa della costruzione dell’attuale porto industriale e di un più grande e moderno faro, venne abbandonato a sé stesso. Fortunatamente venne trasformato di recente in un locale di ristorazione, con annesso belvedere, all’ultimo piano, per il piacere dei turisti del resort. Venne ristrutturata qualche anno prima, grazie proprio ad un consorzio di piccoli imprenditori e di armatori già formatosi tempo prima per la progettazione e la costruzione del resort attiguo, i quali avevano notato anzitempo quanto fosse pericoloso per i turisti e per i bagnanti della spiaggia vicina una struttura così decadente e pericolante.
Da lontano in effetti la piccola torretta stonava con il paesaggio rigoglioso e solare: le finestre erano tutte rotte; non c’erano entrate agibili; le scale erano piene di spaccature, e il tetto minacciava in continuazione di precipitare sulla spiaggia. Con la ristrutturazione fu anche rimesso a nuovo il parcheggio antistante, dotandolo anche di agganci per le biciclette, benché, prima della colata di catrame, la zona avesse ottenuto, col passare degli anni, una particolare bellezza, con la sua erba alta, con i suoi cardi.
Era passato mezzogiorno e non c’era ancora traccia di alcun bagnante; era molto probabile che molti avessero preferito passare la giornata in città, nonostante le condizioni climatiche della giornata e la temperatura del mare fossero ottimali. Tra le poche biciclette legate ai pali ce ne erano due, contrapposte nel colore del rivestimento (l’una era nero carbone, l’altra era bianco crema), ma unite insieme dallo stesso gancio e dallo stesso lucchetto.
I due proprietari non si trovavano in spiaggia in quella precisa ora, sempre vergine di ombrelloni.
Le uniche persone che si trovavano a quell’ora nei pressi della spiaggia erano soltanto qualche pescatore, seduto sulla banchina, in silenzio, a pescare, vicino all’uscita del rivo d’acqua per le piccole navette, e qualche fotografo improvvisato, a scattare una miriade di foto alle nuvole e al mare.
A differenza del pescatore, questi però non era del tutto immerso nel suo hobby, anzi era particolarmente infastidito da un rumore che pensava provenisse dal piccolo boschetto limitrofo alla spiaggia; era sicuro che si trattasse di un mugolio, di animali con molta probabilità. Il boschetto in questione era una striscia di pini e di cipressi, ricolma di rovi e di siepi, con alcune macchie di cespi sparse all’interno. Divideva idealmente la spiaggia dalla zona adibita al campeggio, creando un perfetto muro naturale per i villeggianti, appisolati sotto il tendone, e per le famiglie, riunite a mangiare sotto l’ombrellone. Data la situazione, quel muro non servì né per i primi né per i secondi. Ma a qualcuno sì. Non si trovavano né in spiaggia né nella zona campeggio; erano dentro.
Erano vicini ad una roccia, tra due pini; erano seduti sotto la loro ombra, con addosso solo il costume da bagno. Stavano insieme, da soli. Forse si stavano tenendo la mano, e si guardavano, e forse stavano pure sorridendo. Forse si erano avvicinati. Forse si stavano accarezzando e si stavano avvicinando. Non è dato saperlo con certezza, perché non è la loro storia. In mare intanto c’era un vacanziere, di nome Sinisteri, meditabondo, che, attraverso il suo binocolo, mentre era a bordo dello yacht di un suo amico, guardava la spiaggia. Non aveva nulla da fare in quel momento, e, per fermare il suo continuo sbuffare all’aria cheta, aveva cominciato a guardare col suo binocolo digitale tutta la costa, monitorando ogni metro quadrato: bagnanti col seno scoperto; bambini ribelli col secchio pieno di liquidi corporei; omaccioni in lacrime per il veleno delle meduse chiare; banchetti improvvisati sulla spiaggia; cani lasciati a zonzo; tuffi imprudenti degni di suicidi e addirittura corse spettacolari per vedere chi scivola per primo nel bagnasciuga.
Ciò nonostante, la noia continuava a perseguitarlo, e a lasciarlo con l’amaro in bocca.
“Ehi, amico, tutto ok?” gli chiese il proprietario della nave, l’industriale Roncelli, senza ottenere alcuna risposta. Lo guardava, e comprendeva in parte la sua noia.
Aveva invitato questi a pranzo, essendo suo amico, per vincere la noia che li opprimeva, essendo entrambi ospiti del resort. Erano salpati poco dopo aver fatto colazione, dopo aver lasciato con tutta tranquillità il complesso residenziale. Assieme a loro due c’erano altri ospiti, per loro piacere in soggiorno presso le proprie dimore.
Il proprietario era sicuro che il pranzo avrebbe riscattato la loro noia, e avrebbe reso felice il suo annoiato amico.
Non avevano ancora cominciato a pranzare: stavano sorseggiando prosecco e succhi di frutta, mentre attorno a loro s’era paventata una calma impressionante; il mare era completamente piatto, quasi uno specchio.
Il vacanziere era tranquillo nella sua noia incrollabile, tanto da lasciar perdere col binocolo, anche per via dell’aumentata luminosità, e di sbizzarrirsi coll’alcol.
“Scusa, mi prepareresti un drink?”, domandò il vacanziere ad uno degli invitati; questa domanda sarà la prima di una serie ripetuta di richieste identiche.
Non era ancora finito l’aperitivo, quando, dopo cinque bicchieri mignon, era quasi completamente andato. L’amico proprietario non poté non ridere della scena, come a loro volta gli altri commensali, non intuendo che, come lui e il resto del gruppo, erano diventati brilli.
Lo capirono solo quando il mare cominciò a muoversi, e ad uscire dallo stallo di quiete. Cominciò a ondeggiare la nave tanto da far perdere l’equilibrio a tutti gli invitati, i quali, con grande improvvisazione e buona sorte riuscirono a scampare al mancato equilibrio: c’era chi era riuscito a scivolare sulle poltroncine bianco perla della poppa; c’era chi si era agganciato ad uno degli alberi della nave; c’era chi aveva sbattuto la faccia contro le porte dell’imbarcazione; c’era chi si era fermato alla balaustra. E c’era chi invece si trovò in acqua. Il vacanziere, rimanendo in piedi, fece una piroetta incredibile all’indietro, e, senza sbattere troppo violentemente la schiena contro la balaustra, si capovolse in maniera fulminea contro di essa, finendo in mare. Appena si accorsero della sventura sua, gli altri scoppiarono a ridere come matti, mentre il vacanziere imprecava ostinatamente in acqua, maledicendo sé stesso, il mare e la sua idea idiota di andare in mare con un completo nuovo in velluto.
Gli si affacciò l’amico proprietario, sempre paonazzo per le risate che a stento tratteneva:
“Ehi! Vuoi che ti si riporti dentro?”;
“Ma no! Guarda, mi piace tantissimo l’idea di diventare modello di capi di lusso per le tracine e per gli scorfani, certo che voglio risalire! Accidenti a te e al mare!”, gli urlò.
“Aspetta, che abbasso la scala d’emergenza”. In quell’istante un’altra piccola onda colpì la nave. La sua ebbrezza era peggiorata, danneggiandogli ancora di più l’equilibrio. Cadde anche lui, a pochi centimetri dal vacanziere.
“Complimenti, genio! Ora siamo entrambi in acqua! Ehi! Ehi!! Ci venite a salvare?”, sbraitò al resto della compagnia. Gli altri erano messi ancora peggio, e, non capendo più nulla, invece di aspettare un’altra onda che li portasse a scivolare accidentalmente in acqua, si buttarono direttamente vicino a loro, con vari tuffi da varie postazioni. I due non ci volevano credere alla loro stupidità.
“Ma che cacchio combinate, idioti?!?”, li imprecò in faccia, sputandogli anche un po’ d’acqua salata;
“Ovvia ci si voleva divertire che sarà mai!”, gli disse uno dei folli;
“Ma vi rendete conto della situazione?”, gli urlò il proprietario;
“Non farne una tragedia, via è solo un tuffo!”;
“Sì, certo, un tuffo e pensate di rifarlo?”;
“Certo, perché no. Almeno s’è trovato qualcosa per divertirsi.”;
“Stupidi! Avete dimenticato di far scendere la scala! Siamo chiusi fuori!” e gli indicò la scala ancora bloccata verso l’alto. Dalla rabbia il vacanziere tirò uno schiaffo d’acqua al gruppo, i quali risposero con la stessa arma. Iniziò una piccola battaglia, la quale cominciò a peggiorare quando il vacanziere sprofondò un attimo nel fondale per raccogliere un po’ di sabbia e per tirarla subito dopo ad uno dei commensali, beccandosi appena riemerso un inaspettato colpo di sabbia in faccia. Addirittura il proprietario tirò in fondo un degli invitati, per fargli assaporare il piacere dell’affogare.
Tutto questo però li fece sorridere e divertire come bambini. Dopo un’ora di gioco nuotarono fino alla riva, e, dopo essersi tolti i propri vestiti, passarono il resto della giornata chi a dormire in spiaggia e chi a giocare nell’acqua. Aspettarono lì l’arrivo del soccorso navale, per poter risalire in barca.
La sbornia passò, ma non la piacevole euforia.
Nel frattempo era passato mezzogiorno.
Notarono, vicino a loro, che erano spuntati due giovani, appena usciti dal boschetto vicino. Si tenevano la mano. Avevano passato il tempo ad alternare il silenzio dei propri occhi e l’ascolto delle proprie voci, le quali raccontavano in continuazione storie su storie, assurde, particolari, con le quali vincevano la noia, purché non fossero la loro storia.
E infatti non lo è mai stata.
Aveva tutto quello che si poteva chiedere: piscina; sauna; mini golf; campo da tennis; appartamenti sul mare. Infatti dopo pochi giorni la maggior parte degli ospiti se ne andava in città, ormai annoiata da tutte queste attività disponibili.
Alcuni, intelligentemente, prendevano la strada opposta, e si dirigevano in questa spiaggia.
Il motivo era nel nome del resort, poiché nelle vicinanze, a pochi metri dal bagnasciuga, c’era una piccola torretta, a cui è stato dedicato il nome del resort.
Qualche decennio prima era un faro per le piccole navi commerciali e per le barchette dei pescatori abitanti, ma a causa della costruzione dell’attuale porto industriale e di un più grande e moderno faro, venne abbandonato a sé stesso. Fortunatamente venne trasformato di recente in un locale di ristorazione, con annesso belvedere, all’ultimo piano, per il piacere dei turisti del resort. Venne ristrutturata qualche anno prima, grazie proprio ad un consorzio di piccoli imprenditori e di armatori già formatosi tempo prima per la progettazione e la costruzione del resort attiguo, i quali avevano notato anzitempo quanto fosse pericoloso per i turisti e per i bagnanti della spiaggia vicina una struttura così decadente e pericolante.
Da lontano in effetti la piccola torretta stonava con il paesaggio rigoglioso e solare: le finestre erano tutte rotte; non c’erano entrate agibili; le scale erano piene di spaccature, e il tetto minacciava in continuazione di precipitare sulla spiaggia. Con la ristrutturazione fu anche rimesso a nuovo il parcheggio antistante, dotandolo anche di agganci per le biciclette, benché, prima della colata di catrame, la zona avesse ottenuto, col passare degli anni, una particolare bellezza, con la sua erba alta, con i suoi cardi.
Era passato mezzogiorno e non c’era ancora traccia di alcun bagnante; era molto probabile che molti avessero preferito passare la giornata in città, nonostante le condizioni climatiche della giornata e la temperatura del mare fossero ottimali. Tra le poche biciclette legate ai pali ce ne erano due, contrapposte nel colore del rivestimento (l’una era nero carbone, l’altra era bianco crema), ma unite insieme dallo stesso gancio e dallo stesso lucchetto.
I due proprietari non si trovavano in spiaggia in quella precisa ora, sempre vergine di ombrelloni.
Le uniche persone che si trovavano a quell’ora nei pressi della spiaggia erano soltanto qualche pescatore, seduto sulla banchina, in silenzio, a pescare, vicino all’uscita del rivo d’acqua per le piccole navette, e qualche fotografo improvvisato, a scattare una miriade di foto alle nuvole e al mare.
A differenza del pescatore, questi però non era del tutto immerso nel suo hobby, anzi era particolarmente infastidito da un rumore che pensava provenisse dal piccolo boschetto limitrofo alla spiaggia; era sicuro che si trattasse di un mugolio, di animali con molta probabilità. Il boschetto in questione era una striscia di pini e di cipressi, ricolma di rovi e di siepi, con alcune macchie di cespi sparse all’interno. Divideva idealmente la spiaggia dalla zona adibita al campeggio, creando un perfetto muro naturale per i villeggianti, appisolati sotto il tendone, e per le famiglie, riunite a mangiare sotto l’ombrellone. Data la situazione, quel muro non servì né per i primi né per i secondi. Ma a qualcuno sì. Non si trovavano né in spiaggia né nella zona campeggio; erano dentro.
Erano vicini ad una roccia, tra due pini; erano seduti sotto la loro ombra, con addosso solo il costume da bagno. Stavano insieme, da soli. Forse si stavano tenendo la mano, e si guardavano, e forse stavano pure sorridendo. Forse si erano avvicinati. Forse si stavano accarezzando e si stavano avvicinando. Non è dato saperlo con certezza, perché non è la loro storia. In mare intanto c’era un vacanziere, di nome Sinisteri, meditabondo, che, attraverso il suo binocolo, mentre era a bordo dello yacht di un suo amico, guardava la spiaggia. Non aveva nulla da fare in quel momento, e, per fermare il suo continuo sbuffare all’aria cheta, aveva cominciato a guardare col suo binocolo digitale tutta la costa, monitorando ogni metro quadrato: bagnanti col seno scoperto; bambini ribelli col secchio pieno di liquidi corporei; omaccioni in lacrime per il veleno delle meduse chiare; banchetti improvvisati sulla spiaggia; cani lasciati a zonzo; tuffi imprudenti degni di suicidi e addirittura corse spettacolari per vedere chi scivola per primo nel bagnasciuga.
Ciò nonostante, la noia continuava a perseguitarlo, e a lasciarlo con l’amaro in bocca.
“Ehi, amico, tutto ok?” gli chiese il proprietario della nave, l’industriale Roncelli, senza ottenere alcuna risposta. Lo guardava, e comprendeva in parte la sua noia.
Aveva invitato questi a pranzo, essendo suo amico, per vincere la noia che li opprimeva, essendo entrambi ospiti del resort. Erano salpati poco dopo aver fatto colazione, dopo aver lasciato con tutta tranquillità il complesso residenziale. Assieme a loro due c’erano altri ospiti, per loro piacere in soggiorno presso le proprie dimore.
Il proprietario era sicuro che il pranzo avrebbe riscattato la loro noia, e avrebbe reso felice il suo annoiato amico.
Non avevano ancora cominciato a pranzare: stavano sorseggiando prosecco e succhi di frutta, mentre attorno a loro s’era paventata una calma impressionante; il mare era completamente piatto, quasi uno specchio.
Il vacanziere era tranquillo nella sua noia incrollabile, tanto da lasciar perdere col binocolo, anche per via dell’aumentata luminosità, e di sbizzarrirsi coll’alcol.
“Scusa, mi prepareresti un drink?”, domandò il vacanziere ad uno degli invitati; questa domanda sarà la prima di una serie ripetuta di richieste identiche.
Non era ancora finito l’aperitivo, quando, dopo cinque bicchieri mignon, era quasi completamente andato. L’amico proprietario non poté non ridere della scena, come a loro volta gli altri commensali, non intuendo che, come lui e il resto del gruppo, erano diventati brilli.
Lo capirono solo quando il mare cominciò a muoversi, e ad uscire dallo stallo di quiete. Cominciò a ondeggiare la nave tanto da far perdere l’equilibrio a tutti gli invitati, i quali, con grande improvvisazione e buona sorte riuscirono a scampare al mancato equilibrio: c’era chi era riuscito a scivolare sulle poltroncine bianco perla della poppa; c’era chi si era agganciato ad uno degli alberi della nave; c’era chi aveva sbattuto la faccia contro le porte dell’imbarcazione; c’era chi si era fermato alla balaustra. E c’era chi invece si trovò in acqua. Il vacanziere, rimanendo in piedi, fece una piroetta incredibile all’indietro, e, senza sbattere troppo violentemente la schiena contro la balaustra, si capovolse in maniera fulminea contro di essa, finendo in mare. Appena si accorsero della sventura sua, gli altri scoppiarono a ridere come matti, mentre il vacanziere imprecava ostinatamente in acqua, maledicendo sé stesso, il mare e la sua idea idiota di andare in mare con un completo nuovo in velluto.
Gli si affacciò l’amico proprietario, sempre paonazzo per le risate che a stento tratteneva:
“Ehi! Vuoi che ti si riporti dentro?”;
“Ma no! Guarda, mi piace tantissimo l’idea di diventare modello di capi di lusso per le tracine e per gli scorfani, certo che voglio risalire! Accidenti a te e al mare!”, gli urlò.
“Aspetta, che abbasso la scala d’emergenza”. In quell’istante un’altra piccola onda colpì la nave. La sua ebbrezza era peggiorata, danneggiandogli ancora di più l’equilibrio. Cadde anche lui, a pochi centimetri dal vacanziere.
“Complimenti, genio! Ora siamo entrambi in acqua! Ehi! Ehi!! Ci venite a salvare?”, sbraitò al resto della compagnia. Gli altri erano messi ancora peggio, e, non capendo più nulla, invece di aspettare un’altra onda che li portasse a scivolare accidentalmente in acqua, si buttarono direttamente vicino a loro, con vari tuffi da varie postazioni. I due non ci volevano credere alla loro stupidità.
“Ma che cacchio combinate, idioti?!?”, li imprecò in faccia, sputandogli anche un po’ d’acqua salata;
“Ovvia ci si voleva divertire che sarà mai!”, gli disse uno dei folli;
“Ma vi rendete conto della situazione?”, gli urlò il proprietario;
“Non farne una tragedia, via è solo un tuffo!”;
“Sì, certo, un tuffo e pensate di rifarlo?”;
“Certo, perché no. Almeno s’è trovato qualcosa per divertirsi.”;
“Stupidi! Avete dimenticato di far scendere la scala! Siamo chiusi fuori!” e gli indicò la scala ancora bloccata verso l’alto. Dalla rabbia il vacanziere tirò uno schiaffo d’acqua al gruppo, i quali risposero con la stessa arma. Iniziò una piccola battaglia, la quale cominciò a peggiorare quando il vacanziere sprofondò un attimo nel fondale per raccogliere un po’ di sabbia e per tirarla subito dopo ad uno dei commensali, beccandosi appena riemerso un inaspettato colpo di sabbia in faccia. Addirittura il proprietario tirò in fondo un degli invitati, per fargli assaporare il piacere dell’affogare.
Tutto questo però li fece sorridere e divertire come bambini. Dopo un’ora di gioco nuotarono fino alla riva, e, dopo essersi tolti i propri vestiti, passarono il resto della giornata chi a dormire in spiaggia e chi a giocare nell’acqua. Aspettarono lì l’arrivo del soccorso navale, per poter risalire in barca.
La sbornia passò, ma non la piacevole euforia.
Nel frattempo era passato mezzogiorno.
Notarono, vicino a loro, che erano spuntati due giovani, appena usciti dal boschetto vicino. Si tenevano la mano. Avevano passato il tempo ad alternare il silenzio dei propri occhi e l’ascolto delle proprie voci, le quali raccontavano in continuazione storie su storie, assurde, particolari, con le quali vincevano la noia, purché non fossero la loro storia.
E infatti non lo è mai stata.
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