Oggi incontro una donna
dell’Ucraina che viene da un’esperienza familiare particolarmente
difficile e che nella sua migrazione ha incontrato altra fatica e altro
dolore che non hanno ancora trovato la parola fine. E’ una donna di 50 anni
che mi colpisce per la grande dignità che traspare dai modi e dal suo aspetto
seppure un poco dimesso. Per nulla paragonabile alla maggior parte delle
cinquantenni che incontriamo per le strade di Trento: quasi una donna d’altri
tempi.
Poco abbiamo potuto fare
per lei e quel poco non certo perché questa donna lo abbia chiesto. La sua
sofferenza l’abbiamo intuita dal suo sguardo schivo, dolce e triste insieme.
Dopo tanti mesi di
brevissimi incontri le ho chiesto se se la sentiva di raccontarci un pezzettino
della sua storia per aiutare noi ed i lettori del giornalino a comprendere e
magari sentirsi un poco più solidali con chi arriva da lontano e ci vive
accanto.
“Avrei molte cose da raccontare ma non so da dove iniziare, perdonami perché non posso esprimere al meglio le vicissitudini della mia vita ed i miei sentimenti”.
“Avrei molte cose da raccontare ma non so da dove iniziare, perdonami perché non posso esprimere al meglio le vicissitudini della mia vita ed i miei sentimenti”.
La rassicuro che cercherò di aiutarla a trovare le
parole anche se l’emozione che lei mi sta trasmettendo attraverso lo sguardo
dei suoi due enormi occhi grigi sarà solamente mia.
“Vivo qui a Trento da un anno e mezzo perché dalla
dissoluzione dell’U.R.S.S. la situazione economica nel mio paese è
precipitata, le fabbriche hanno chiuso e nelle campagne ogni produzione è
crollata.
La mia situazione
familiare da molti anni è difficile, 25 anni fa mi sono
separata da mio marito quando avevamo già due figli maschi, uno nato con gravi
problemi cardiaci per i quali è stato operato ben due volte, l’altro ragazzo
all’età di 4 anni in un incidente ha perso le dita della mano destra. Quanto
dolore.
Ho sempre sgobbato per farli crescere al meglio delle
mie possibilità, lavoravo la campagna ed oltre che mantenere loro aiutavo mia
madre a crescere le tre bambine di una mia sorella morta giovanissima.
Tredici anni fa sono riuscita a costruire una casa per
me ed i miei figli ero piena disperanze per il nostro futuro,
i miei figli avevano da lavorare pur con i loro problemi fisici, uno faceva
l’autista e l’altro lavorava in fabbrica. Poi 10 anni fa il disastro. In
uno spazio di tempo brevissimo c’è crollato il mondo addosso. Niente
più lavoro e tutto quanto comprese le cure mediche diventano a pagamento! Mia
madre percepisce una piccola pensione che con il crescere del costo della vita
diventa sufficiente solo per pagare l’affitto e la luce.
Io ho continuato a
sgobbare in campagna ma ormai non bastava più. Ho cominciato a sentire
di tante donne che partivano per i paesi occidentali: Italia, Francia,
Germania, Canada, Israele. Le famiglie più fortunate erano quelle con il marito
che poteva partire per l’estero per lavorare mentre la donna restava in
famiglia. Per me questo non era possibile e comunque i figli grandi mi
permettevano di tentare io stessa l’avventura.
Io sempre molto povera e sola non potevo che contare
sulle mie forze. Decido così di partire, scelgo l’Italia perché una mia amica
mi dice che qui si viene trattati bene.
Appena giunta a Trento trovo un lavoro, persone
bravissime, ma l’anziana sta troppo male e viene portata al ricovero, i
familiari mi aiutano e trovo un’altra famiglia. Anche questo lavoro termina,
purtroppo questa volta l’anziano muore e mi dispiace molto perché sono tutte
brave persone. Anche questa volta vengo aiutata per un altro posto. Qui però
rimango solo 10 giorni perché mi ammalo.
Avevo sempre dolore al ventre finché una notte ho
un’emorragia; la signora mi porta subito all’ospedale, vengo ricoverata per
esami. Arriva l’esito, il dottore mi dice che ho un tumore. Sono disperata, mi
sento nuovamente crollare il mondo addosso, non capisco più nulla.
La signora viene a trovarmi e cerca di consolarmi
dicendomi che in fondo sono fortunata perché ammalarmi a Trento è molto meglio
che in Ucraina in questo momento; aggiunge che certamente verrò curata al meglio
e che guarirò.
Rimango ricoverata per tre mesi in quanto non posso
essere operata ma mi vengono praticate terapie radianti e chemio. La signora
che mi ha portata all’ospedale mi viene a trovare anche nei momenti più
difficili e sono fortunata perché nel frattempo è giunta in Italia una mia
sorella la quale trova subito lavoro e mi fa visita quando le è possibile.
Il 26 agosto terminano le terapie e vengo dimessa, mi
aspettano molte visite di controllo ma i medici dicono che ho risposto bene
alle cure e che le speranze di farcela sono buone. Io mi sento uno straccio,
non ho forze ed il morale è a terra.
Subito dopo la dimissione dall’ospedale vengo ospitate
per un po’ di giorni dalla famiglia presso la quale lavora mia sorella e poi
trascorro alcuni giorni in una casa abbandonata finché finalmente a settembre
non si libera per me un posto presso la Casa della Giovane.
Non ho più denaro, sono più di quattro mesi che non
lavoro, sento al telefono uno dei miei figli, deve andare all’ospedale, ha uno
dei suoi periodi di terribili dolori di testa, ogni anno ha un ricovero di
circa un mese e poi riprende a stare bene.
Ora nel mio paese si pagano medicine e ricoveri, io
cerco aiuto presso delle conoscenti qui in città, una donna mi presta 500 euro
altre donne altri 300 che posso inviare a casa. Come farò a restituirli! Ora ho
anche questo debito.
Una famiglia ha fatto per me la richiesta di
regolarizzazione, spero vada tutto bene così da poter lavorare alcuni mesi”
Piange ed io mi sento
davvero in difficoltà a continuare a scrivere il suo racconto.
“Ieri ho potuto parlare al telefono con mia madre, che
ha 79 anni, lo sai io l’ho aiutata a crescere anche le figlie di una mia
sorella che è morta giovane. Ora sono tutte sposate ma la più giovane di loro è
tornata a vivere con la nonna perché il marito che era emigrato in Spagna per
lavoro lì è stato ucciso. Bene, mia madre al telefono piangeva perché mi ha
detto che non hanno più legna e nemmeno il denaro per comprarla (con 150 euro
si compra la legna per tutto l’inverno). Lì adesso le temperature arrivano
anche a meno venti gradi.
Credo di essere uno di
quei casi disperati che non troveranno mai delle risposte, io volevo
riuscire ad aiutare tutti, con i guadagni di un lavoro in Italia se si rimane
modesti si aiutano molte persone al paese. Io ora sono ammalata, tante volte
penso che non ce la farò, certe volte penso di tornare subito a casa dopo i
controlli di dicembre in ospedale ma poi cambio idea pensando ai debiti ed
allora prego che la regolarizzazione arrivi presto e forse almeno alcuni mesi
di lavoro li potrò ancora fare.
I miei due figli abitano vicino a mia madre, fanno
quello che possono, con i loro problemi di salute e con il lavoro che non c’è.
Loro si arrangiano con qualche ora lavorata qua e là e se sono fortunati il
lavoro c’è per due o tre giorni. Oggi io provo tanta vergogna, non per la
povertà in sé ma per il fatto di dover dipendere per tutto da altre persone, mi
vergogno di dover chiedere. Io vedo altre donne che hanno faticato
tanto ma ora ce l’hanno fatta; le vedo girare in città ben vestite ed in
compagnia fra loro, hanno ripreso a sorridere.
Io sempre di più cerco di stare sola, anche dove dormo
fatico a stare insieme alle altre donne che cambiano continuamente ed ogni
giorno ne conosco di nuove mentre io rimango sempre ancora lì!
In certi momenti mi sembra di impazzire.
Sento di essere esaurita, voglio
farcela ma ho tanta paura”
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