Il gran giorno
era arrivato.
L’ingegner Gui non stava più nella pelle. Gongolante nel suo abito firmato da duemila euro (la sola cravatta costava più dell’intero abbigliamento del suo collaboratore), osservava con sincera partecipazione e, insieme, con deferente distacco, l’inconsueto campionario di umanità che affollava l’enorme salone addobbato a festa: autorità civili, militari ed ecclesiastiche, ricchi industriali, dame snob dell’alta società. Tutti convenuti a celebrare il suo Genio. Il giusto coronamento per anni di duro lavoro. Quasi nessuna traccia di quei pezzenti di ricercatori ed assistenti con cui era costretto a dividere le sue giornate. Neppure uno studente, ringraziando Iddio ed il Magnifico Rettore, che aveva accettato il suo suggerimento di riservare la cerimonia solo a personalità “ben selezionate”.
Il dottor Senna guardava lo scenario da tutt’altra angolazione. Si sentiva soffocare dal nodo scorsoio stretto sulla gola di quel superfluo capo d’abbigliamento di cui non aveva mai capito l’utilità, e rimpiangeva di non essere sulla riva di un fiume con una canna da pesca in mano.
Avrebbe preferito tutt’altra cornice per l’evento.
L’austera sala era irriconoscibile. In altre circostanze, ben più proficue di questa, era possibile sentir echeggiare i passi dei pur numerosi frequentatori, vedere le loro ombre muoversi lungo le pareti, discernere un attento ed equilibrato brusio, in un’atmosfera rarefatta, silenziosa, quasi mistica. Ora era chiasso, ressa, confusione. Un’orripilante calca che riempiva ogni centimetro del locale di vacue ciarle ed odorose traspirazioni. Solo attorno al ministro ed al suo seguito s’intravedeva un po’ di spazio libero, mantenuto e sorvegliato dai gorilla della scorta. Il vero festeggiato, il Sapere Scientifico, era debitamente dimenticato, calpestato, vilipeso. L’atteggiamento dominante nella folla dei partecipanti era di conclamata estraneità a “certe astruserie cervellotiche”, di superiore ignoranza, quasi di disprezzo nei confronti del lavoro che veniva svolto in quei locali. Stavano per celebrare un avvenimento di portata storica, una tappa importante per la ricerca, alla presenza di un branco di beduini impomatati e di attempate matrone con tre quarti delle loro tette sformate disgustosamente in mostra.
– Ed ecco gli ideatori e realizzatori del progetto – fece strada il Rettore. – L’ingegnere Sergio Gui, docente e studioso di scienza dei computer, ed il dottor Arnaldo Senna, neurobiologo, collaboratore del nostro dipartimento di Intelligenza Artificiale.
– Bene bene bene! – esclamò il ministro con un singolare miscuglio di entusiasmo, benevolenza e fastidio, e declamò: – vedo che la nostra cara Patria non ha niente da invidiare al colosso americano.
“Certamente non grazie a te e agli animali della tua specie, pappone schifoso!” pensò con stizza Senna.
– Sono partiti prima – assentì Gui, onorato di rivolgere la parola ad un personaggio di tale levatura – e comunque grazie ad un italiano. Ma noi siamo arrivati, prima.
Una generale risatina colma di orgoglio approvò la battuta.
Oltre che affiancare Senna nella fase tecnica, Gui aveva curato, assieme al rettore, le “pubbliche relazioni” del progetto, il che significava essenzialmente contattare gente influente e trafficare per reperire i fondi necessari. Aveva quindi molto più dimestichezza del collega (questi era addirittura insofferente) nel trattare con pezzi grossi del mondo politico ed industriale. E gli piaceva pure.
– Bene bene bene – sentenziò il ministro. – E ditemi, quanti giga ha di memoria?
“Stupido gradasso balordo”, inveì mentalmente Senna. Quel parruccone non aveva la minima idea del lavoro che avevano fatto, e credeva di poter sorprendere la platea formulando qualche domanda “in gergo” che si era fatta suggerire da qualche altro idiota un po’ più istruito, e far credere di essere un esperto del ramo. Solo i politici sono capaci di tanta ridicola ingenuità.
– Signor ministro – spiegò amabilmente Gui – Adamo è un computer neuronale. Il suo principio di funzionamento, e la sua architettura, sono sensibilmente diversi da quelli dei vecchi computer. La misura in byte di una memoria ha senso quando questa è costituita da elementi bistabili in tecnologia digitale capaci di,
– Come funziona? – lo interruppe il viceministro. Il suo superiore lo gratificò con un’occhiata d’approvazione.
– Simulando la mente umana – rispose Gui, per niente seccato. Preferiva pensare che quell’interruzione fosse stata causata dall’ansia di conoscere più particolari. – Negli elaboratori classici, la manipolazione dell’informazione avviene eseguendo, l’una dopo l’altra, istruzioni predeterminate che fisicamente vanno ad influire sullo stato delle unità elementari di cui è costituita una memoria, capaci di assumere due soli valori. In questa nuova macchina, sia la struttura, sia il funzionamento, ricalcano da vicino quello del nostro cervello, in tecnologia quasi analogica…
Il ministro si era reso conto di essere caduto dalla padella nella brace, e si era rassegnato ad accogliere quel noioso fiume di parole prive di senso aprendo i rubinetti del suo cervello, strettamente specializzato in campi molto diversi, facendo sì che ciò che entrava da un orecchio uscisse dall’altro, appena appena filtrato da una reticella dalle maglie molto larghe. Quel “quasi” fece scattare una molla: era un’imprecisione, poteva chiedere chiarimenti. Non che gliene fregasse molto, ma doveva pur darsi un tono! – Che significa “quasi analogica”?
– Il cervello umano è paragonabile ad un complicatissimo circuito elettrico formato da elementi, i neuroni, collegati tutti fra loro e capaci di assumere valori continui di “tensione”. Questo vuol dire che un neurone può assumere un numero teoricamente infinito di stati diversi. Bene, il cervello del nostro Adamo è costituito da una rete simile, realizzata con silicio anziché materiale organico, naturalmente, con un numero elevatissimo di elementi base capaci di assumere ognuno, sempre teoricamente, valori continui di tensione, e quindi un’infinità di stati diversi. Se consideriamo il numero di elementi e la possibilità di combinazioni diverse, ci rendiamo conto di avere a disposizione una quantità di memoria non misurabile in maniera precisa, tantomeno con le classiche grandezze di riferimento. In realtà, però, il numero di stati che ciascun elemento può assumere non è infinito, in quanto i valori non variano con continuità, ma in modo discreto. E questo è il limite posto dalla tecnologia, limite che la tecnologia stessa dovrà superare: quanto più riusciremo a diminuire i “gradini” apprezzabili fra un valore ed un altro, e cioè ad aumentare la risoluzione, sia in lettura che in scrittura, tanto maggiore sarà il numero di stati che il singolo elemento potrà assumere, e tanto più ci avvicineremo a quell'”infinito” del neurone. Quasi analogico, quindi, nel senso che l’informazione è trattata come se fosse di tipo analogico, mentre in effetti si tratta di una gestione digitale a più valori identificabile solo macroscopicamente come continua.
– Capisco. Bene bene bene, veramente geniale – commentò il politicante, con l’aria di un insegnante che ha appena verificato che un suo alunno ha studiato a dovere la lezione.
Guardò Adamo.
Il computer, chiuso nel contenitore plastico, aveva l’aspetto di un pupazzo di neve un po’ squadrato. Privo di arti, aveva delle protuberanze cave in corrispondenza delle orecchie, degli occhi e della bocca. – Perché non ha naso?
“Non ha nemmeno il buco del culo, brutto pezzo di merda”, scattò sottovoce Senna, esasperato dalla arrogante presunzione del politico.
Gui ringraziò il cielo di essere stato l’unico a sentire.
– L’altra rivoluzione dovuta a questo computer – spiegò – consiste nel modo in cui avviene lo scambio dei dati. Adamo è dotato di particolari sensori capaci di captare e trasdurre suoni ed immagini per trasmetterli al “cervello”, cosi come fanno per noi orecchie ed occhi, e comunica con noi tramite fonemi, il che giustifica quella specie di bocca. É inteso, naturalmente, che può essere interfacciato con stampanti e memorie ottiche o magnetiche di tipo tradizionale, nel caso si desiderino i risultati delle elaborazioni su carta, o su supporti diversi per l’archiviazione o l’utilizzo da parte di altri computer. Ma, oltre vista ed udito, non ha ancora altri sensi. La sua bocca non può riconoscere alcun gusto, e poiché non ha bisogno di respirare, e non è dotato di olfatto, non gli serve naso. Ah, può essere collegato a braccia meccaniche capaci di fornirgli anche un sia pur rudimentale senso del tatto.
– Bene bene bene – ripeté il ministro – vogliamo accenderlo, così mi fate vedere cosa sa fare?
– É già acceso – lo informò Gui – e sta già lavorando, solo che…
– Già lavora? E che razza di inaugurazione è, allora? – sbottò l’onorevole. Si era fatto fare il manicure apposta, in previsione di dover pigiare qualche bottone per l’avviamento.
– Lei, signor ministro – rispose Gui, un po’ intimorito, ed un po’ fuori di sé, dalla gioia, per il colpo di scena che stava per offrire al politico – gli darà la vita con la sua parola.
– Cosa?
– Adamo è solo un esemplare più completo, e più potente, di altre macchine neuronali già operanti e dislocate in varie zone del pianeta. Queste hanno lavorato finora a raccogliere dati sul nostro mondo: hanno osservato, hanno ascoltato, hanno appreso linguaggi. Hanno assistito a ciò che succede in giro, per le strade come nei più importanti consessi mondiali. E tutto questo patrimonio culturale è stato riversato in Adamo, perché potesse apprendere in un anno ciò che altrimenti avrebbe richiesto decenni. Ed in base a queste conoscenze egli può ora fare delle connessioni, operare delle scelte, prendere decisioni… in una parola, ragionare. Basta dargli lo spunto.
– Incredibile. Ma… può provare anche sentimenti?
Gui stavolta guardò Senna, chiamandolo tacitamente in causa. E sperando che facesse il bravo.
Il neurobiologo alzò gli occhi al cielo, poi si decise e fece il suo bravo intervento: – Non dovrebbe. I meccanismi dell’apprendimento non hanno praticamente più segreti per noi, ed è soprattutto grazie a questo che siamo potuti arrivare a progettare e costruire una macchina… “pensante”. Ma sotto questo aspetto non differisce minimamente dai vecchi computer: riceve dati, li elabora, anche se in maniera completamente diversa, con connessioni multiple e contemporanee anziché il susseguirsi di vari step, e fornisce le risposte richieste. Processi di altro tipo, quali possono essere la creatività, la fantasia, od anche i sentimenti, sono per noi ancora del tutto sconosciuti. Ma questo non significa necessariamente che non sia possibile, in qualche modo, riprodurli.
– E come?
– Il mio collega, poco fa, spiegando il funzionamento di Adamo, o di qualsiasi altra macchina neuronale, ha detto che il numero di stati possibili in un elemento base del cervello umano, il neurone, è pressoché infinito, in quanto i valori di “tensione” variano con continuità. Questo è vero solo da un punto di vista macroscopico, però, anche se gli ordini di grandezza sono enormemente diversi rispetto a quelli delle nostre macchine. In realtà in natura niente è continuo. Il concetto stesso di continuità, pur valido in ambito matematico, è un’astrazione. Il mondo intero, le rocce come il mare, come le piante o gli animali, le stelle, noi stessi, siamo costituiti da atomi, e quindi, in maggior parte, da spazio vuoto. Per cui anche i livelli di tensione nei neuroni assumono valori diversi con dei gap di grandezza infinitesimale. L’ingegner Gui ha inoltre detto che la nostra attuale tecnologia ci limita nel definire dei valori di soglia fra uno stato e l’altro, in pratica la risoluzione. Ecco, limitazioni di questo tipo sono presenti anche nel cervello umano, a causa della natura discreta della materia, solo che non dipendono dalla tecnologia, bensì da fattori quali il grado di evoluzione, l’adattamento, l’allenamento, l’esperienza di vita ed eventualmente da fattori patologici. Per cui anche le interconnessioni che hanno luogo nella nostra mente sono soggette ad “errori di definizione”. E così commettiamo sbagli, sviste, imprecisioni. Ma “l’errare umano” potrebbe non essere il solo prodotto di questo difetto di risoluzione. Da ciò potrebbero dipendere visioni diverse dello stesso oggetto, quindi modi di vedere diversi, interpretazioni, opinioni. Gusto, valutazioni estetiche. Leibnitz parlava di “piccole percezioni”. Da questa mancanza di dati precisi potrebbe dipendere un deperimento organico, atto a colmare alcuni vuoti, o a spiegare eventi non ben definiti: potrebbe essere il meccanismo della fantasia, dell’ispirazione, della creatività. Ed interpretazione potrebbe voler dire sensazione, e quindi, in risposta a questa, sentimento…
– Ho l’impressione che lei stia facendo della fantascienza.
– Io sto solo formulando delle ipotesi, delle teorie. Da dimostrare, o da confutare.
– Certo, certo. Molto interessante. Bene, vogliamo procedere?
– Qui, signor ministro – lo guidò Gui. – Si metta qui e dia ad Adamo il primo stimolo.
– Come?
– Gli dica qualcosa.
Il ministro si trovò faccia a faccia con quel pupazzo di neve in plastica, per giunta mutilato, e si sentì un idiota. “Gli dica qualcosa”. A quella specie di spaventapasseri! Ma volevano prenderlo in giro?
Si guardò attorno, e dalle espressioni sui volti che lo circondavano, dal pesante e quasi religioso silenzio che era improvvisamente piombato nella sala, capì che no, che si trattava di una cosa maledettamente seria. Solo ora si rese conto di quanto macabro fosse il soprannome che avevano dato a quell’accozzaglia di circuiti, e di quanto scomoda fosse la sua posizione. Scomoda, ed esaltante. Gli era stato dato un potere che andava oltre l’umano, e stava interpretando un ruolo che aveva del biblico.
Si schiarì la voce, e declamò, solennemente: – Adamo, tu vivi.
La testa di plastica si mosse. Ruotò leggermente, da destra a sinistra, e dall’alto in basso, come per osservare la platea, per orientarsi nel locale, per identificarsi nell’universo che gli era stato suggerito, e tornò a fissare l’onorevole. Indugiò alcuni secondi, forse il tempo necessario ad elaborare l’ultima informazione ricevuta. Poi dalla sua “bocca” presero ad uscire degli impulsi sonori irregolari, di intensità e frequenza variabili.
– Ma… che fa? – domandò il ministro, attonito.
Senna sbarrò gli occhi, scosse la testa, e sorrise amaramente.
Gui trasalì, e con voce incerta esclamò: – Ma… sono singhiozzi. Sta piangendo!
L’ingegner Gui non stava più nella pelle. Gongolante nel suo abito firmato da duemila euro (la sola cravatta costava più dell’intero abbigliamento del suo collaboratore), osservava con sincera partecipazione e, insieme, con deferente distacco, l’inconsueto campionario di umanità che affollava l’enorme salone addobbato a festa: autorità civili, militari ed ecclesiastiche, ricchi industriali, dame snob dell’alta società. Tutti convenuti a celebrare il suo Genio. Il giusto coronamento per anni di duro lavoro. Quasi nessuna traccia di quei pezzenti di ricercatori ed assistenti con cui era costretto a dividere le sue giornate. Neppure uno studente, ringraziando Iddio ed il Magnifico Rettore, che aveva accettato il suo suggerimento di riservare la cerimonia solo a personalità “ben selezionate”.
Il dottor Senna guardava lo scenario da tutt’altra angolazione. Si sentiva soffocare dal nodo scorsoio stretto sulla gola di quel superfluo capo d’abbigliamento di cui non aveva mai capito l’utilità, e rimpiangeva di non essere sulla riva di un fiume con una canna da pesca in mano.
Avrebbe preferito tutt’altra cornice per l’evento.
L’austera sala era irriconoscibile. In altre circostanze, ben più proficue di questa, era possibile sentir echeggiare i passi dei pur numerosi frequentatori, vedere le loro ombre muoversi lungo le pareti, discernere un attento ed equilibrato brusio, in un’atmosfera rarefatta, silenziosa, quasi mistica. Ora era chiasso, ressa, confusione. Un’orripilante calca che riempiva ogni centimetro del locale di vacue ciarle ed odorose traspirazioni. Solo attorno al ministro ed al suo seguito s’intravedeva un po’ di spazio libero, mantenuto e sorvegliato dai gorilla della scorta. Il vero festeggiato, il Sapere Scientifico, era debitamente dimenticato, calpestato, vilipeso. L’atteggiamento dominante nella folla dei partecipanti era di conclamata estraneità a “certe astruserie cervellotiche”, di superiore ignoranza, quasi di disprezzo nei confronti del lavoro che veniva svolto in quei locali. Stavano per celebrare un avvenimento di portata storica, una tappa importante per la ricerca, alla presenza di un branco di beduini impomatati e di attempate matrone con tre quarti delle loro tette sformate disgustosamente in mostra.
– Ed ecco gli ideatori e realizzatori del progetto – fece strada il Rettore. – L’ingegnere Sergio Gui, docente e studioso di scienza dei computer, ed il dottor Arnaldo Senna, neurobiologo, collaboratore del nostro dipartimento di Intelligenza Artificiale.
– Bene bene bene! – esclamò il ministro con un singolare miscuglio di entusiasmo, benevolenza e fastidio, e declamò: – vedo che la nostra cara Patria non ha niente da invidiare al colosso americano.
“Certamente non grazie a te e agli animali della tua specie, pappone schifoso!” pensò con stizza Senna.
– Sono partiti prima – assentì Gui, onorato di rivolgere la parola ad un personaggio di tale levatura – e comunque grazie ad un italiano. Ma noi siamo arrivati, prima.
Una generale risatina colma di orgoglio approvò la battuta.
Oltre che affiancare Senna nella fase tecnica, Gui aveva curato, assieme al rettore, le “pubbliche relazioni” del progetto, il che significava essenzialmente contattare gente influente e trafficare per reperire i fondi necessari. Aveva quindi molto più dimestichezza del collega (questi era addirittura insofferente) nel trattare con pezzi grossi del mondo politico ed industriale. E gli piaceva pure.
– Bene bene bene – sentenziò il ministro. – E ditemi, quanti giga ha di memoria?
“Stupido gradasso balordo”, inveì mentalmente Senna. Quel parruccone non aveva la minima idea del lavoro che avevano fatto, e credeva di poter sorprendere la platea formulando qualche domanda “in gergo” che si era fatta suggerire da qualche altro idiota un po’ più istruito, e far credere di essere un esperto del ramo. Solo i politici sono capaci di tanta ridicola ingenuità.
– Signor ministro – spiegò amabilmente Gui – Adamo è un computer neuronale. Il suo principio di funzionamento, e la sua architettura, sono sensibilmente diversi da quelli dei vecchi computer. La misura in byte di una memoria ha senso quando questa è costituita da elementi bistabili in tecnologia digitale capaci di,
– Come funziona? – lo interruppe il viceministro. Il suo superiore lo gratificò con un’occhiata d’approvazione.
– Simulando la mente umana – rispose Gui, per niente seccato. Preferiva pensare che quell’interruzione fosse stata causata dall’ansia di conoscere più particolari. – Negli elaboratori classici, la manipolazione dell’informazione avviene eseguendo, l’una dopo l’altra, istruzioni predeterminate che fisicamente vanno ad influire sullo stato delle unità elementari di cui è costituita una memoria, capaci di assumere due soli valori. In questa nuova macchina, sia la struttura, sia il funzionamento, ricalcano da vicino quello del nostro cervello, in tecnologia quasi analogica…
Il ministro si era reso conto di essere caduto dalla padella nella brace, e si era rassegnato ad accogliere quel noioso fiume di parole prive di senso aprendo i rubinetti del suo cervello, strettamente specializzato in campi molto diversi, facendo sì che ciò che entrava da un orecchio uscisse dall’altro, appena appena filtrato da una reticella dalle maglie molto larghe. Quel “quasi” fece scattare una molla: era un’imprecisione, poteva chiedere chiarimenti. Non che gliene fregasse molto, ma doveva pur darsi un tono! – Che significa “quasi analogica”?
– Il cervello umano è paragonabile ad un complicatissimo circuito elettrico formato da elementi, i neuroni, collegati tutti fra loro e capaci di assumere valori continui di “tensione”. Questo vuol dire che un neurone può assumere un numero teoricamente infinito di stati diversi. Bene, il cervello del nostro Adamo è costituito da una rete simile, realizzata con silicio anziché materiale organico, naturalmente, con un numero elevatissimo di elementi base capaci di assumere ognuno, sempre teoricamente, valori continui di tensione, e quindi un’infinità di stati diversi. Se consideriamo il numero di elementi e la possibilità di combinazioni diverse, ci rendiamo conto di avere a disposizione una quantità di memoria non misurabile in maniera precisa, tantomeno con le classiche grandezze di riferimento. In realtà, però, il numero di stati che ciascun elemento può assumere non è infinito, in quanto i valori non variano con continuità, ma in modo discreto. E questo è il limite posto dalla tecnologia, limite che la tecnologia stessa dovrà superare: quanto più riusciremo a diminuire i “gradini” apprezzabili fra un valore ed un altro, e cioè ad aumentare la risoluzione, sia in lettura che in scrittura, tanto maggiore sarà il numero di stati che il singolo elemento potrà assumere, e tanto più ci avvicineremo a quell'”infinito” del neurone. Quasi analogico, quindi, nel senso che l’informazione è trattata come se fosse di tipo analogico, mentre in effetti si tratta di una gestione digitale a più valori identificabile solo macroscopicamente come continua.
– Capisco. Bene bene bene, veramente geniale – commentò il politicante, con l’aria di un insegnante che ha appena verificato che un suo alunno ha studiato a dovere la lezione.
Guardò Adamo.
Il computer, chiuso nel contenitore plastico, aveva l’aspetto di un pupazzo di neve un po’ squadrato. Privo di arti, aveva delle protuberanze cave in corrispondenza delle orecchie, degli occhi e della bocca. – Perché non ha naso?
“Non ha nemmeno il buco del culo, brutto pezzo di merda”, scattò sottovoce Senna, esasperato dalla arrogante presunzione del politico.
Gui ringraziò il cielo di essere stato l’unico a sentire.
– L’altra rivoluzione dovuta a questo computer – spiegò – consiste nel modo in cui avviene lo scambio dei dati. Adamo è dotato di particolari sensori capaci di captare e trasdurre suoni ed immagini per trasmetterli al “cervello”, cosi come fanno per noi orecchie ed occhi, e comunica con noi tramite fonemi, il che giustifica quella specie di bocca. É inteso, naturalmente, che può essere interfacciato con stampanti e memorie ottiche o magnetiche di tipo tradizionale, nel caso si desiderino i risultati delle elaborazioni su carta, o su supporti diversi per l’archiviazione o l’utilizzo da parte di altri computer. Ma, oltre vista ed udito, non ha ancora altri sensi. La sua bocca non può riconoscere alcun gusto, e poiché non ha bisogno di respirare, e non è dotato di olfatto, non gli serve naso. Ah, può essere collegato a braccia meccaniche capaci di fornirgli anche un sia pur rudimentale senso del tatto.
– Bene bene bene – ripeté il ministro – vogliamo accenderlo, così mi fate vedere cosa sa fare?
– É già acceso – lo informò Gui – e sta già lavorando, solo che…
– Già lavora? E che razza di inaugurazione è, allora? – sbottò l’onorevole. Si era fatto fare il manicure apposta, in previsione di dover pigiare qualche bottone per l’avviamento.
– Lei, signor ministro – rispose Gui, un po’ intimorito, ed un po’ fuori di sé, dalla gioia, per il colpo di scena che stava per offrire al politico – gli darà la vita con la sua parola.
– Cosa?
– Adamo è solo un esemplare più completo, e più potente, di altre macchine neuronali già operanti e dislocate in varie zone del pianeta. Queste hanno lavorato finora a raccogliere dati sul nostro mondo: hanno osservato, hanno ascoltato, hanno appreso linguaggi. Hanno assistito a ciò che succede in giro, per le strade come nei più importanti consessi mondiali. E tutto questo patrimonio culturale è stato riversato in Adamo, perché potesse apprendere in un anno ciò che altrimenti avrebbe richiesto decenni. Ed in base a queste conoscenze egli può ora fare delle connessioni, operare delle scelte, prendere decisioni… in una parola, ragionare. Basta dargli lo spunto.
– Incredibile. Ma… può provare anche sentimenti?
Gui stavolta guardò Senna, chiamandolo tacitamente in causa. E sperando che facesse il bravo.
Il neurobiologo alzò gli occhi al cielo, poi si decise e fece il suo bravo intervento: – Non dovrebbe. I meccanismi dell’apprendimento non hanno praticamente più segreti per noi, ed è soprattutto grazie a questo che siamo potuti arrivare a progettare e costruire una macchina… “pensante”. Ma sotto questo aspetto non differisce minimamente dai vecchi computer: riceve dati, li elabora, anche se in maniera completamente diversa, con connessioni multiple e contemporanee anziché il susseguirsi di vari step, e fornisce le risposte richieste. Processi di altro tipo, quali possono essere la creatività, la fantasia, od anche i sentimenti, sono per noi ancora del tutto sconosciuti. Ma questo non significa necessariamente che non sia possibile, in qualche modo, riprodurli.
– E come?
– Il mio collega, poco fa, spiegando il funzionamento di Adamo, o di qualsiasi altra macchina neuronale, ha detto che il numero di stati possibili in un elemento base del cervello umano, il neurone, è pressoché infinito, in quanto i valori di “tensione” variano con continuità. Questo è vero solo da un punto di vista macroscopico, però, anche se gli ordini di grandezza sono enormemente diversi rispetto a quelli delle nostre macchine. In realtà in natura niente è continuo. Il concetto stesso di continuità, pur valido in ambito matematico, è un’astrazione. Il mondo intero, le rocce come il mare, come le piante o gli animali, le stelle, noi stessi, siamo costituiti da atomi, e quindi, in maggior parte, da spazio vuoto. Per cui anche i livelli di tensione nei neuroni assumono valori diversi con dei gap di grandezza infinitesimale. L’ingegner Gui ha inoltre detto che la nostra attuale tecnologia ci limita nel definire dei valori di soglia fra uno stato e l’altro, in pratica la risoluzione. Ecco, limitazioni di questo tipo sono presenti anche nel cervello umano, a causa della natura discreta della materia, solo che non dipendono dalla tecnologia, bensì da fattori quali il grado di evoluzione, l’adattamento, l’allenamento, l’esperienza di vita ed eventualmente da fattori patologici. Per cui anche le interconnessioni che hanno luogo nella nostra mente sono soggette ad “errori di definizione”. E così commettiamo sbagli, sviste, imprecisioni. Ma “l’errare umano” potrebbe non essere il solo prodotto di questo difetto di risoluzione. Da ciò potrebbero dipendere visioni diverse dello stesso oggetto, quindi modi di vedere diversi, interpretazioni, opinioni. Gusto, valutazioni estetiche. Leibnitz parlava di “piccole percezioni”. Da questa mancanza di dati precisi potrebbe dipendere un deperimento organico, atto a colmare alcuni vuoti, o a spiegare eventi non ben definiti: potrebbe essere il meccanismo della fantasia, dell’ispirazione, della creatività. Ed interpretazione potrebbe voler dire sensazione, e quindi, in risposta a questa, sentimento…
– Ho l’impressione che lei stia facendo della fantascienza.
– Io sto solo formulando delle ipotesi, delle teorie. Da dimostrare, o da confutare.
– Certo, certo. Molto interessante. Bene, vogliamo procedere?
– Qui, signor ministro – lo guidò Gui. – Si metta qui e dia ad Adamo il primo stimolo.
– Come?
– Gli dica qualcosa.
Il ministro si trovò faccia a faccia con quel pupazzo di neve in plastica, per giunta mutilato, e si sentì un idiota. “Gli dica qualcosa”. A quella specie di spaventapasseri! Ma volevano prenderlo in giro?
Si guardò attorno, e dalle espressioni sui volti che lo circondavano, dal pesante e quasi religioso silenzio che era improvvisamente piombato nella sala, capì che no, che si trattava di una cosa maledettamente seria. Solo ora si rese conto di quanto macabro fosse il soprannome che avevano dato a quell’accozzaglia di circuiti, e di quanto scomoda fosse la sua posizione. Scomoda, ed esaltante. Gli era stato dato un potere che andava oltre l’umano, e stava interpretando un ruolo che aveva del biblico.
Si schiarì la voce, e declamò, solennemente: – Adamo, tu vivi.
La testa di plastica si mosse. Ruotò leggermente, da destra a sinistra, e dall’alto in basso, come per osservare la platea, per orientarsi nel locale, per identificarsi nell’universo che gli era stato suggerito, e tornò a fissare l’onorevole. Indugiò alcuni secondi, forse il tempo necessario ad elaborare l’ultima informazione ricevuta. Poi dalla sua “bocca” presero ad uscire degli impulsi sonori irregolari, di intensità e frequenza variabili.
– Ma… che fa? – domandò il ministro, attonito.
Senna sbarrò gli occhi, scosse la testa, e sorrise amaramente.
Gui trasalì, e con voce incerta esclamò: – Ma… sono singhiozzi. Sta piangendo!
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