“So che dovrei
almeno desiderare di saperlo aiutare ma non succede. Sono cattiva?”. Comincia
con questa frase una pagina del mio diario di tre anni fa. Mi presento: sono
Stefania, vivo a Perugia e domani compirò i primi venti anni di vita; una tappa
importante, tanto che ho deciso di sfogliare i miei quaderni personali proprio
oggi in cerca di qualche incompletezza per cercare di risolverla in queste
poche ore ed entrare poi nel secondo ventennio della mia vita. Questa idea mi
fa senz’altro apparire ridicola ma è solo un modo per passare la domenica e
magari ottenere qualcosa di buono. Tornando alla mia auto-citazione di
partenza, appena l’ho letta ho sentito quella botta allo stomaco di cui tanto
spesso si sente parlare e che naturalmente avevo già sperimentato, ma non di
recente. Insieme all’emozione, tanti nomi: Alessio, Paolo, Nicola, ma in quel
giorno, il tre settembre del Duemilatre, mi riferivo a qualcuno in particolare,
una persona speciale che sapeva capirmi come nessun altro e che suo malgrado mi
ha fatto soffrire più di tutti. Ho sofferto molto dopo ogni cotta o storia che
ho avuto la fortuna di vivere, perché non sono mai stata in grado di
aiutare un ragazzo, mi tiravo indietro appena la situazione iniziava a
scottare per poi restare bruciata dal rimpianto di non essermi comportata
seriamente. Credo d’essere incline a far del bene a chi mi circonda, sono molto
espansiva e sensibile finché non si arriva ai famosi incontri ravvicinati che
mi trasformano in un mostriciattolo apatico e inflessibile, incapace di
esprimere ciò che sente e spesso anche di capirlo. Ma all’età di diciassette
anni questo problema è svanito nel nulla forse grazie a Gabriele, il ragazzo a
cui mi riferivo poco fa e con cui ho trascorso dei mesi indimenticabili, nel vero
senso della parola. Non lo amavo e lui non amava me, non c’era feeling tra noi
eppure lui anticipava ogni mia mossa o battuta, coglieva al volo tutti i miei
pensieri e all’occorrenza li ripeteva ad alta voce per fare bella figura al
posto mio… lo trovavo davvero irritante, eppure continuavo a passare due ore
piene tutti i santi giorni con lui. Gabriele nacque con un grave problema alle
ossa che lo costrinse ad usare la sedia a rotelle fin da piccolo, ricordo che
da bambina lo vedevo spesso in terrazza, quando ancora abitava nel palazzo di
fronte al mio. Mi salutava a malapena per questo lo trovavo antipatico già
allora, a dispetto di quanto sarebbe accaduto tra noi.
Un giorno l’ho incontrato mentre cercava di far salire la sua carrozzella su un marciapiede piuttosto alto, l’ho aiutato tacitamente senza neanche fingere di non averlo riconosciuto, guardandolo anche con un po’ di malignità e lui mi ha sorpreso: “Grazie Stefania, come stai?”. La mia risposta è tuttora indecifrabile: “No, sì grazie”. Lui mi ha ripreso subito: “Cos’è una risposta a scelta multipla?! Ti emoziona così tanto parlare con me? L’ho capito da tanto che ti piaccio!”.
A questo punto mi sono notevolmente infervorata: “Come hai fatto a capire una cosa del genere se non mi vedi da secoli?! Non mi emoziona affatto rivolgerti la parola, anzi non mi fa né caldo né freddo!”
“Perfetto – ha ripreso Gabriele spolverandosi la felpa con le punte delle dita – sei libera domani alle sei?”. Non sono riuscita a capire subito il tono di quella domanda e sono rimasta interdetta per qualche secondo non capendo se aveva scherzato o se mi stava invitando ad uscire con lui. Entrambe le mie ipotesi erano sbagliate: “Stefania ti sto solo chiedendo se ti va di venire a casa mia dalle sei alle otto nei giorni in cui sei libera per portarmi a fare un giro. La mia gamba s’è aggravata ed è pericoloso per me girare da solo così mi farebbe comodo un po’ di assistenza, che ne dici?”.
Così ho accettato e dopo un bel po’ di difficoltà iniziali sono arrivata a conoscere esattamente i suoi bisogni e i suoi problemi talvolta anche i suoi pensieri senza riuscire però a provare simpatia per lui.
Una sera, mentre stavo per andare via da casa sua, mi ha posto una domanda molto particolare: “Se ti chiedessi di farmi sparire e ti pagassi per questo tu accetteresti così come hai accettato di tenermi compagnia per venti euro il giorno?”.
Un po’ seccata per quella provocazione finale che m’impediva di correre fuori a cena, mi sono sforzata di trovare una risposta ironica che facesse cadere il discorso in pochi secondi: “No Gabriele, ti farei sparire anche gratis, anzi sarei anche disposta a pagare per liberarmi di te!” ma guardandolo mi sono sentita in colpa per aver risposto così. La sua espressione seria rivelava una profonda, radicata sofferenza di cui non ero accorta. Le lacrime hanno cominciato a bagnarmi il viso mentre lui ha continuato: “Per favore uccidimi o portami via. Sono stufo d’essere un peso per gli altri. Tu sei l’unica che non mi tratta compassione, mi piace passare il tempo con te e ora vorrei che tu mi aiutassi davvero. Non avrò mai il coraggio di suicidarmi ma non potrò nemmeno andare avanti così, col passare degli anni la mancanza d’indipendenza sarà sempre più grande e fastidiosa”.
L’ho guardato asciugandomi gli occhi, poi l’ho spinto fino al tavolo della cucina, ho aperto il frigo e alcuni sportelli e cominciato meccanicamente ad accumulare ingredienti sul ripiano.
“Che cavolo fai?”
“Prepariamo una bella pizza e ce la mangiamo, poi penseremo al tuo futuro”.
“Tu sei tutta matta!”
“Vuoi assoldarmi come serial killer e non ti fidi di mangiare qualcosa cucinato da me?”. Gabriele ha riso e questo mi ha fatto sentire appagata e felice come non mai.
Ripensare a quest’episodio mi ha fatto davvero venir voglia di rivedere Gabriele che adesso avrà ventitré anni e che non ho più visto da quella sera così lontana nel tempo. Ormai ho deciso che domattina andrò a trovarlo.
La sera della pizza abbiamo parlato a lungo scoprendo sentimenti che non erano mai venuti a galla e partorendo un’idea favolosa che è andata in porto. Gabry è andato ad insegnare cucina in un istituto alberghiero a molti chilometri da Perugia e a giudicare dal fatto che non è mai tornato nella sua vecchia città, direi che si è trovato bene!
Alle otto del mattino entro in una grande scuola superiore dalle pareti bianche e non sento neanche il sonno per la levataccia e il lungo viaggio in macchina, tanto sono emozionata.
Mi fermo davanti alla scrivania del custode e chiedo: “Sto cercando il professor Gabriele Marri, credo che insegni qui!” Lei è Stefania, non è vero? Io sono Amedeo – mi strige la mano e aggiunge – Mi segua pure! “Perché questo bidello cordiale e baffuto mi conosce? Gabriele ha parlato di me? Ma se mi ha sempre detestato! Amedeo apre una gran porta azzurrognola e mi cede il passo per farmi entrare in una grossa aula di cucina ben attrezzata e con le pareti tappezzate di foto. Un momento, quella sono io! Questa stanza è piena di foto di me che cammino per strada, lungo la via che separa casa mia da quella in cui viveva Gabriele! Una voce da dietro interrompe il mio stupore: “La mia felicità la devo solo a te che mi hai dato con pochi e semplici discorsi la forza di trovare una vita vera. Per questo ho appeso queste foto che ho fatto in tanti anni di reclusione in casa. Tranquilla, non ero un maniaco! Scattavo centinaia di foto a chiunque passasse di lì per passare il tempo. Tu passavi spesso!”
Nel voltarmi a guardarlo ho capito che potevo amarlo e che forse sarebbe valsa la pena di modificare un po’ la mia vita per poter stare con lui, con l’unico con cui ero stata sempre del tutto sincera. Dopo qualche ora, invece, sto salendo in macchina per tornare a casa dopo aver scoperto che Gabry mi è grato per averlo aiutato a raggiungere la felicità completa, intendendo con felicità uno stato d’animo che include anche il grande amore che prova per sua moglie.
Ammetto di sentirmi un po’ delusa perché in fondo ho sempre sperato provare sentimenti forti per una persona così profonda e una volta che ci sono riuscita l’ho capito troppo tardi per essere ricambiata, ma sono anche contenta di aver fatto sul serio del bene a qualcuno. Non c’è soddisfazione più grande di questa che ti motiva e ti invoglia ad aiutare ancora. Per scovare l’anima gemella ci sarà tempo.
Un giorno l’ho incontrato mentre cercava di far salire la sua carrozzella su un marciapiede piuttosto alto, l’ho aiutato tacitamente senza neanche fingere di non averlo riconosciuto, guardandolo anche con un po’ di malignità e lui mi ha sorpreso: “Grazie Stefania, come stai?”. La mia risposta è tuttora indecifrabile: “No, sì grazie”. Lui mi ha ripreso subito: “Cos’è una risposta a scelta multipla?! Ti emoziona così tanto parlare con me? L’ho capito da tanto che ti piaccio!”.
A questo punto mi sono notevolmente infervorata: “Come hai fatto a capire una cosa del genere se non mi vedi da secoli?! Non mi emoziona affatto rivolgerti la parola, anzi non mi fa né caldo né freddo!”
“Perfetto – ha ripreso Gabriele spolverandosi la felpa con le punte delle dita – sei libera domani alle sei?”. Non sono riuscita a capire subito il tono di quella domanda e sono rimasta interdetta per qualche secondo non capendo se aveva scherzato o se mi stava invitando ad uscire con lui. Entrambe le mie ipotesi erano sbagliate: “Stefania ti sto solo chiedendo se ti va di venire a casa mia dalle sei alle otto nei giorni in cui sei libera per portarmi a fare un giro. La mia gamba s’è aggravata ed è pericoloso per me girare da solo così mi farebbe comodo un po’ di assistenza, che ne dici?”.
Così ho accettato e dopo un bel po’ di difficoltà iniziali sono arrivata a conoscere esattamente i suoi bisogni e i suoi problemi talvolta anche i suoi pensieri senza riuscire però a provare simpatia per lui.
Una sera, mentre stavo per andare via da casa sua, mi ha posto una domanda molto particolare: “Se ti chiedessi di farmi sparire e ti pagassi per questo tu accetteresti così come hai accettato di tenermi compagnia per venti euro il giorno?”.
Un po’ seccata per quella provocazione finale che m’impediva di correre fuori a cena, mi sono sforzata di trovare una risposta ironica che facesse cadere il discorso in pochi secondi: “No Gabriele, ti farei sparire anche gratis, anzi sarei anche disposta a pagare per liberarmi di te!” ma guardandolo mi sono sentita in colpa per aver risposto così. La sua espressione seria rivelava una profonda, radicata sofferenza di cui non ero accorta. Le lacrime hanno cominciato a bagnarmi il viso mentre lui ha continuato: “Per favore uccidimi o portami via. Sono stufo d’essere un peso per gli altri. Tu sei l’unica che non mi tratta compassione, mi piace passare il tempo con te e ora vorrei che tu mi aiutassi davvero. Non avrò mai il coraggio di suicidarmi ma non potrò nemmeno andare avanti così, col passare degli anni la mancanza d’indipendenza sarà sempre più grande e fastidiosa”.
L’ho guardato asciugandomi gli occhi, poi l’ho spinto fino al tavolo della cucina, ho aperto il frigo e alcuni sportelli e cominciato meccanicamente ad accumulare ingredienti sul ripiano.
“Che cavolo fai?”
“Prepariamo una bella pizza e ce la mangiamo, poi penseremo al tuo futuro”.
“Tu sei tutta matta!”
“Vuoi assoldarmi come serial killer e non ti fidi di mangiare qualcosa cucinato da me?”. Gabriele ha riso e questo mi ha fatto sentire appagata e felice come non mai.
Ripensare a quest’episodio mi ha fatto davvero venir voglia di rivedere Gabriele che adesso avrà ventitré anni e che non ho più visto da quella sera così lontana nel tempo. Ormai ho deciso che domattina andrò a trovarlo.
La sera della pizza abbiamo parlato a lungo scoprendo sentimenti che non erano mai venuti a galla e partorendo un’idea favolosa che è andata in porto. Gabry è andato ad insegnare cucina in un istituto alberghiero a molti chilometri da Perugia e a giudicare dal fatto che non è mai tornato nella sua vecchia città, direi che si è trovato bene!
Alle otto del mattino entro in una grande scuola superiore dalle pareti bianche e non sento neanche il sonno per la levataccia e il lungo viaggio in macchina, tanto sono emozionata.
Mi fermo davanti alla scrivania del custode e chiedo: “Sto cercando il professor Gabriele Marri, credo che insegni qui!” Lei è Stefania, non è vero? Io sono Amedeo – mi strige la mano e aggiunge – Mi segua pure! “Perché questo bidello cordiale e baffuto mi conosce? Gabriele ha parlato di me? Ma se mi ha sempre detestato! Amedeo apre una gran porta azzurrognola e mi cede il passo per farmi entrare in una grossa aula di cucina ben attrezzata e con le pareti tappezzate di foto. Un momento, quella sono io! Questa stanza è piena di foto di me che cammino per strada, lungo la via che separa casa mia da quella in cui viveva Gabriele! Una voce da dietro interrompe il mio stupore: “La mia felicità la devo solo a te che mi hai dato con pochi e semplici discorsi la forza di trovare una vita vera. Per questo ho appeso queste foto che ho fatto in tanti anni di reclusione in casa. Tranquilla, non ero un maniaco! Scattavo centinaia di foto a chiunque passasse di lì per passare il tempo. Tu passavi spesso!”
Nel voltarmi a guardarlo ho capito che potevo amarlo e che forse sarebbe valsa la pena di modificare un po’ la mia vita per poter stare con lui, con l’unico con cui ero stata sempre del tutto sincera. Dopo qualche ora, invece, sto salendo in macchina per tornare a casa dopo aver scoperto che Gabry mi è grato per averlo aiutato a raggiungere la felicità completa, intendendo con felicità uno stato d’animo che include anche il grande amore che prova per sua moglie.
Ammetto di sentirmi un po’ delusa perché in fondo ho sempre sperato provare sentimenti forti per una persona così profonda e una volta che ci sono riuscita l’ho capito troppo tardi per essere ricambiata, ma sono anche contenta di aver fatto sul serio del bene a qualcuno. Non c’è soddisfazione più grande di questa che ti motiva e ti invoglia ad aiutare ancora. Per scovare l’anima gemella ci sarà tempo.
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