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giovedì 4 giugno 2020

Racconto. La vita è Adecco.


Mi piacerebbe incontrarti un’altra prima volta in un bar buio e lottare tra l’imbarazzo e la curiosità, tra la paura e il desiderio.
Mi piacerebbe riscoprirti un’altra prima volta, in un angusto abitacolo di un’auto troppo grigia per le nostre anime troppo colorate, in infiniti giri, i finestrini semichiusi per far evacuare il fumo dell’ennesima ultima sigaretta, quando i giorni non bastavano e le notti erano troppo brevi, le chiacchiere su tutto, le risate, i sorrisi, gli sguardi che si cercavano e poi si sfuggivano per non svelarsi troppo, le ginocchia che si toccano nonostante la leva del cambio e le labbra che le invidiavano perché volevano essere loro incollate le une alle altre ma non osavano ancora.
Mi piacerebbe baciarti un’altra prima volta come per uno sbaglio voluto e tanto atteso dandosi l’ennesima ultima buona notte e poi, stupiti ed increduli, rifarlo e rifarlo ancora con un’urgenza devastante da fame chimica, col tempo canaglia che correva troppo in fretta e lasciarsi a malincuore mentre l’alba, l’ennesima, ci sorprendeva di nuovo insieme ma per la prima volta allora sotto un’altra luce.
Mi piacerebbe in fine dimenticare quell’ultimo bacio quando ormai non c’era più nulla da aggiungere a quel silenzio troppo grande e troppo imbarazzante che seguiva quattro parole di commiato asciutte e senza orpelli, quando nell’abitacolo dell’auto troppo poco grigia per il grigio di quella fine, ho voluto, elemosinandolo miseramente, esaudire l’ultimo desiderio di un condannato a morte, provando sulla pelle delle mie labbra quella sensazione alla John Fante di baciare un pezzo di arrosto freddo, più freddo della lama di un pugnale che fende la carne viva, palpitante.
Libero cancellò quello stupido messaggio senza senso da Facebook e corse a prendere l’autobus che l’avrebbe portato a Bari per sostenere l’ennesimo colloquio all’agenzia interinale.
“Ma la vita è Adecco!”, pensò e rise di quella minchiata.


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